La revoca ad Aspi porta a una nuova Alitalia o una nuova tassa sugli italiani

La follia di una trattativa scalcagnata. Dopo lo scalpo dei Benetton, allo stato resterebbe in mano o un'azienda decotta o la tentazione di aumentare i pedaggi e ridurre gli investimenti

di Redazione, 10.7.2020 ilfoglio.it lettura 3’

Più si infervora il dibattito intorno alla questione della revoca della concessione ad Autostrade, e più la strategia del governo si avvita intorno a posizioni assurde, surreali e perfino pericolose.

La prima follia sta nella strategia scelta. Da un lato il M5s dice che nessun cedimento sarà consentito, che nessun'altra soluzione se non lo scalpo dei Benetton può essere contemplata. "Revoca o morte", insomma, questa è la posizione del partito di riferimento del premier. E però, al tempo stesso, si aspetta che i Benetton offrano al governo una mediazione, una "proposta transattiva" che di fatto possa sanare, per via economica, un contenzioso che nell'ottica del M5s è giudiziario e addirittura morale. In queste stesse ore Giuseppe Conte va ripetendo: "O da Aspi arriva una proposta che non si può rifiutare, oppure si procederà alla revoca". Ma qui sta il paradosso: se si è già deciso che la revoca è l'unica soluzione, se si dice, come fa Luigi Di Maio, che l'allontanamento dei Benetton è un dovere dello stato nei confronti dei familiari delle vittime, perché si chiede nel frattempo agli stessi Benetton di proporre, loro, un compromesso accettabile? Che senso ha? E se questa offerta irrinunciabile da parte di Aspi arrivasse davvero, a quel punto la revoca smetterebbe di essere una priorità irrinunciabile?

La seconda assurdità sta nella statalizzazione di Aspi. Una mossa sbagliata in ogni caso, qualunque ne sia l'esito (restando agli scenari possibili, e dunque rigettando la retorica dello "stato imprenditore" che tanto va di moda a Palazzo Chigi). Delle due l'una: o si vuole trasformare Autostrade in una nuova Alitalia, oppure si vogliono utilizzare i caselli autostradali come delle nuove forme di prelievo forzoso sui cittadini. Vediamo perché.

Aspi come Alitalia. Allo stato attuale della trattativa, il governo ha imposto delle condizioni perentorie ad Aspi. Innanzitutto, resterebbe in vigore l'articolo 35 del Milleproroghe, varato nel febbraio scorso per ridurre gli oneri di risarcimento che lo stato deve ad Aspi in caso di revoca, ma che di fatto impedisce a qualsiasi concessionario dovesse subentrare ad Aspi di finanziarsi in modo stabile sul mercato. In secondo luogo, i nuovi paletti che lo stato pretende di imporre ad Aspi prevedono una riduzione immediata delle tariffe (almeno un meno 10 per cento sui pedaggi) e un maggiore impegno sugli investimenti da fare. E poi c'è tutta la rete autostradale da gestire e manutenere, e ci sono circa 6 mila dipendenti di Aspi che andrebbero riassorbiti. Ebbene, se lo stato dovesse subentrare ad Aspi, assegnando ad Anas la gestione di tutta la rete, e dovesse rispettare tutte queste stringenti condizioni, di fatto si condannerebbe da solo al fallimento, con entrate ribassate e spese (di investimenti e personale) aumentati. Una sorta di nuova Alitalia, con lo stato costretto a gestire un'azienda decotta.

A meno che il governo non giochi d'astuzia, per così. E qui si viene all'altro scenario. Quello, cioè, in cui lo stato, dopo aver imposto condizioni impossibili ad Aspi, decida di non rispettarle nel momento in cui subentrasse nella gestione delle autostrade. Prima la revoca della concessione, cioè, e poi la revoca delle condizioni imposte per scongiurare la concessione. Una furbata che avrebbe del ridicolo, ma tant'è. E al di là del senso del ridicolo, il vero rischio, in questo caso, starebbe proprio nei costi e nella qualità del servizio reso: perché, una volta diventato gestore delle autostrade in regime di monopolio, qualsiasi governo avrebbe interesse ad alzare i pedaggi (e non a ridurli) per ovvie necessità di cassa, usando insomma i caselli come una fonte di gettito aggiuntiva. E, anziché aumentarli, gli investimenti per nuove infrastrutture e per manutenere quelle esistenti rischierebbero di crollare, come accade del resto in tutti gli altri settori. Non è un caso, del resto, che l'ultimo ponte crollato, in Lunigiana, sia stato un ponte gestito da Anas.

Commenti   

#2 riki 2020-07-10 18:56
ore 21 ecco uno possibile scambio: Giuseppe Conte, l'ultima idea: scambio Autostrade-Mes, il suo jolly per salvare il governo
Possiamo continuare così?
#1 riki 2020-07-10 18:26
I grillini vogliono vendicarsi e allora lo scudo sono i 43 periti in quella disgrazia. Costi quel che costi. Al Governo della Regione mica sono loro ! E non si parla più della strada Gronda non voluta sempre dai grillini. Non interessa la Liguria paese bloccato dalla loro insipienza e politica approssimativa: i ricchi devono pagare. E la solita tiritera: la revoca è un nostro principio cui non vogliamo venir meno, costi quello che costi. E magari nel Consiglio dei Ministri si baratterà con qualche altro cosa. Oramai è così uno a me e uno a te.
Marcello .

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