LA BOLLA DELL’ANTI POPULISMO. Processo alla classe dirigente
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Media, politici, imprese, associazioni. Dentro una gigantesca “bolla filtro”, certe della bontà delle loro idee, le élite di ogni colore muoiono soffocate dall’autoreferenzialità. Da dove può nascere una nuova stagione giocata contro i nuovi impresari della paura
di Marco Bentivogli, 27.7.2020 ilfoglio.it lettura 7’
Bentivogli ha lasciato recentemente la Segreterai nazionale dei metalmeccanici CISL. Fiacciamo un riassunto del suo articolo-manifesto di ben 6700 parole oggi apparso sul Il Foglio cartaceo o in abbonamento on-line con ilo quale dichiara di passare alla politica attiva
Vedo buoni a nulla prender tutto e non riuscire a dire niente. Ma la cosa più brutta è che ora che saremmo d’accordo, mio padre non c’è più”.
Antonio Menna
Le parole dell’amico Antonio Menna riassumono lo stato d’animo di molti di noi, divisi tra i tanti rassegnati e i pochi che resistono, inducono a una riflessione sulle classi dirigenti ai tempi dei social.
Ovunque, negli ambiti economici, sociali, politici, accademici, intellettuali, tutti denunciano deficit di caratura. Svolte possibili. In realtà, il consenso gastrico o comunque “stanco e pigro” livella proprio la necessità di qualità. Competenti (veri o autodichiarati), incompetenti, esperti e inesperti, sembrano tutti uguali agli occhi di un popolo poco esigente su chi li rappresenta
Il ritorno alla disintermediazione?
C’è un aspetto che accomuna questi approcci, tutti destinati a un rapido fallimento: la diffusa tendenza alla disintermediazione. Il compito di dare contenuto e forma alla rabbia e alla disperazione delle persone deve tornare a essere tipico dei corpi intermedi “non reazionari”. Segnalo un bellissimo contributo di Giuseppe De Rita che se da un lato afferma che la “disintermediazione produce lo svuotamento della dimensione intermedia della dialettica sociopolitica e la conseguente emarginazione dei soggetti collettivi”, dall’altro segnala che non si ritorna all’intermediazione con gli stessi corpi sociali, anche perché “è sempre più difficile il lavoro di rappresentanza delle identità, perché i meccanismi identitari oggi sono mimetici, localistici e spesso confinanti con le appartenenze etniche”.
Che fine hanno fatto gli intellettuali?
Il mondo intellettuale ha da almeno 30 anni abbandonato ogni riflessione sul lavoro e i lavoratori, come dice Axel Honnet, da quando hanno capito che la fabbrica non è il luogo della rivoluzione e la classe operaia, il soggetto rivoluzionario. Poi l’aver tardivamente capito che non è più neanche una “classe” e che spesso vota a destra ha portato quasi ad un disprezzo, che li ha portati a concentrarsi su quel ceto medio che dovrebbe essere riflessivo per cristallizzarne i ragionamenti su dogmi
Integratori di energie e lievito di speranza
Abbiamo appena celebrato il tasso di natalità più basso dal 1861, in cui i pensionati superano i lavoratori attivi, in cui aumentano gli italiani che lasciano il paese e diminuiscono i migranti che arrivano. Un default demografico che anticipa quello economico, industriale, civile. Occorre prima di tutto diffondere la consapevolezza di quello che sta accadendo. Smetterla di offrire fatalismo e ineluttabilità del destino. Restituire alle persone l’idea fondamentale che il futuro è conseguenza in larga parte del presente, di ciò che facciamo, di quali risorse ed energie mettiamo in campo. In secondo luogo, è imprescindibile abbandonare la nostra storica banchina di Paese “timoroso ed esitante”, riscoprendo il coraggio e la radicalità della sfida. Solo adottando lo spirito di frontiera si può ritrovare l’iniziativa e ripartire dalla progettazione sociale, economica, industriale, civica. Abbiamo necessità di costruire, con decisione e speranza, una visione corale di futuro, da opporre a chi fa leva su una prospettiva angosciante per consolidare la sua presa su un presente dominato dalla paura. Da anni la destra è ripiegata nella sua versione infantile e la sinistra ha perso qualsiasi visione, del lavoro, del progresso, dell’uomo, per abbandonarsi al revival Partiamo da un assunto di ormai lampante evidenza: le sconfitte fanno bene se sono occasione di rigenerazione, se, insomma, avviano un percorso di riprogettazione. Se scarichiamo metà della società perché pensiamo che sia ignobile, non perdiamo soltanto la possibilità che ci ascolti. Mettiamo anche in pericolo la democrazia liberale. Una parte della sinistra vive per pigrizia di revival e finisce per essere indistinguibile dai populisti
Organizzazioni aperte e contendibili contro le scuola dell’obbedienza
La debolezza dei corpi sociali è spesso frutto di due malattie: la prima è la chiusura autocelebrativa, in ambienti in cui il discorso e l’iniziativa politica sono troppo chiusi nella bolla delle dinamiche interne.
La seconda è la logica della fedeltà, la lealtà è troppo impegnativa per capi fragili in cui strutture monocratiche o oligarchiche che selezionano necessariamente i gruppi dirigenti sulla base della conservazione degli status. La mediocrazia si è affermata proporzionalmente alla caduta di qualità dei gruppi dirigenti e delle élite
Rompere polarizzazione a autoreferenzialità in Italia
E l’Italia? Non è esente il nostro Paese da questa dinamica di polarizzazione e autoreferenzialità. ”. Non sopporto la retorica sul rapporto con la mitica “base” e il “Paese reale”
Contro gli impresari dalla paura: non gli regaliamo le emozioni
La paura sembra ormai la merce più trattata sul mercato politico ed economico. Un collante che è stato forte ed efficace in ogni epoca, oggi si configura come totalizzante
Processo all’informazione italiana
Sentimenti propri dell’intima natura umana, quali speranza, fiducia, umiliazione, rabbia, paura sono oggi stimolati e alimentati in maniera strumentale. E’ scorretto dire che i nuovi media ne sono la causa, ma certamente la possibilità di esprimersi attraverso i social network ha modificato anche i modelli comunicativi della politica, che trova qui una “piazza” costantemente aperta e popolata di soggetti non sempre in grado di distinguere la verità dalla menzogna
Le virtù dei Gruppi dirigenti
Il Sistema economico politico e sociale è malato di scarsa innovazione, il guaio è che cresce anche un’altra povertà, quella di legami sociali, di fragilità comunitaria. Il paese non cresce, mette in fuga i pochi giovani rimasti. Per riprendere il sentiero dello sviluppo economico e del progresso civile la classe dirigente dovrebbe essere formata e selezionata sulla base del possesso di alcune caratteristiche distintive, che sono quanto di più lontano dall’obbedienza acritica e dalla fedeltà incondizionata.
L’esperienza
Aspetto decisivo da non confondere con l’anzianità. Non si può governare un paese senza aver mai avuto esperienze di “gestione”. Sono cose che non si improvvisano. Attenzione a non confondere come unica “esperienza di gestione” l’amministrazione dei comuni.
Il coraggio
Servono persone capace di forti discontinuità, non sono tali gli spoyls system per piazzare gli amici. Servono persone capaci di sostenere le proprie idee davanti ai fischi, alle incomprensioni, alle contestazioni. Persone capaci di scegliere a partire da loro stessi, determinazioni che possono portare sacrifici, impegno, e difficoltà. Il coraggio è tener duro quando tutto crolla, quando sei solo.
La solitudine
E’ uno dei momenti irrinunciabili per coltivare la propria libertà interiore. Non intesa come possibilità di fare ciò che si vuole. Ma la capacità che solo la solitudine ci consegna di mettere in trasparenza le catene, le routine, le paure che ci imponiamo da soli e che ci impediscono quando invece è vitale,
Riconoscimento della propria parzialità
Per battere la malattia autoimmune dei nostri gruppi dirigenti servono leadership trasformazionali. Persone capaci di riconoscere la propria parzialità e di capire che la trasfromazione, quella vera, quella che batte populismi e mediocrazia si basa sulla restituzione a ciascuno di protagonismo civile. Oggi ovunque la costruzione del proprio team è basata su due regole: fedeltà cieca e impossibilità strutturale che facciano ombra al leader. Il risultato è scontato
Meriti e bisogni
I bisogni sociali non possono essere un alibi per livellare il merito l’impegno, il valore delle persone e delle idee. Nel paese dove l’importanza della conoscenza è sostituita da quella delle “conoscenze” si leggono frequentemente appelli contro la meritocrazia. Siamo un paese in cui, nel pubblico come nel privato, l’impegno, la competenza sono spesso mortificati.
Credibilità
C’è una quota di sfiducia che è tutta frutto dell’antipolitica. Non puoi predicare “largo ai giovani” e fare di tutto per tenerli lontano dall’impegno a partire dallo spazio che tu stesso devi lasciare.
Radici e cultura
Non esiste gruppo dirigente degno di questo nome senza cultura, senza radici. Guardate cosa leggono (se lo fanno) e capirete di cosa si nutrono, guardate la bolla delle loro frequentazioni e comprenderete perché scambiano le idee con le opinioni e il pensare con il replicare litanie altrui.
Capaci di visione
L’accorciamento d’orizzonte dei progetti umani e dei loro pensieri nel nostro paese è stato disastroso. Se leggiamo i megatrend su ambiente, demografia, lavoro e digitale vediamo inevitabilmente che le politiche che hanno orizzonti inferiori ai 30 anni sono, non solo inutile, ma spesso dannose. Oggi, la ricerca del consenso a breve, produce politiche a brevissimo, appunto, inutili, costose e dannose.



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beb
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