L’altro bazooka

Finanziamenti, incentivi, accesso al credito. Cosa può fare l’Europa per far crescere le micro e piccole imprese

di Sergio Silvestrini* 1.8. 2020 ilfoglio.it

ruolo fondamentale delle piccole imprese è scolpito tra gli obiettivi del pacchetto di proposte elaborato da Bruxelles per una rinnovata politica industriale. Sostenere le Pmi fa parte del trittico della strategia insieme al miglioramento del funzionamento del mercato interno e al sostegno all’industria nel processo di trasformazione “green”. La Cna condivide tale orientamento. La questione è come articolare e declinare la strategia considerando che le proposte della Commissione sono state elaborate prima dell’esplosione del Covid-19, un contesto spazzato via in pochi mesi. Pertanto è necessaria una profonda rivisitazione delle iniziative da adattare a un panorama profondamente mutato, non solo in termini di salute e prospettive dei mercati ma soprattutto sotto il profilo di un nuovo approccio delle politiche economiche e fiscali con il ritorno alla centralità dello stato.

  

Senza trascurare il potente input alla costruzione della casa europea generato dalla pandemia con l’arrivo di strumenti che fino a qualche mese fa appartenevano al libro dei sogni. L’emissione di titoli europei sulla scia del Recovery fund e l’introduzione di imposte comunitarie prevista dallo stesso accordo in sede di Consiglio europeo delineano il profondo cambiamento che sta attraversando l’Ue. In quest’ottica andrebbe definita una tabella di marcia individuando obiettivi a breve, medio e lungo periodo e i relativi strumenti per le Pmi e parallelamente delineare una più ambiziosa “Strategia per una politica globale dell’Unione in materia di Pmi”. In tale prospettiva assume rilevanza il tema della governance che dovrebbe prevedere un ruolo da protagonista delle organizzazioni imprenditoriali nella realizzazione della strategia per le piccole imprese. Con riferimento ai tre obiettivi fissati dalla Commissione, si possono individuare alcune priorità. Per il mercato unico occorre accelerare i processi di armonizzazione ed è fondamentale il ruolo dell’Europa quale soggetto promotore di politiche commerciali a salvaguardia delle produzioni continentali. Nel sostegno alla transizione “verde” è condivisibile l’attenzione al comparto manifatturiero ma vanno sviluppate azioni e iniziative che coinvolgano il mondo produttivo nel suo complesso con particolare attenzione all’intera filiera dei servizi. Sull’obiettivo dedicato alle Pmi, deve essere ridefinito l’approccio. L’impulso positivo determinato dal paradigma “Think Small First” che ha generato lo Small Business Act ormai si è esaurito. Bisogna costruire e promuovere nuove politiche tenendo conto delle oggettive differenze tra micro, piccola e media impresa partendo da una approfondita analisi del tessuto produttivo in Europa.

La fotografia della struttura delle imprese italiane presenta contorni e tonalità molto diversi rispetto alla lettura semplificata che si è soliti rappresentare. La proliferazione di micro e piccole imprese in realtà è diventata una sorta di luogo comune. Al netto dei lavoratori autonomi il numero di imprese fino a nove dipendenti in Italia non si discosta dalla realtà degli altri principali paesi del continente. Il vero gap strutturale riguarda i segmenti delle medie e grandi imprese. In Italia sono poco più di 3.300 le grandi, oltre 4 mila in Francia e lontanissima la Germania con 12 mila. Il differenziale è ancora più ampio nella classe delle medie imprese. E tuttavia l’Italia continua a esprimere la seconda manifattura in Europa. La logica conseguenza è rivedere la filosofia che ha generato lo Small Business Act sviluppando politiche per aiutare micro e piccole imprese a crescere di taglia. Il primo passo concreto deve essere la fine della pratica della taglia unica degli incentivi. Un’impresa con cinque addetti e una con 240 appartengono a due mondi distinti. Invece negli ultimi anni si è manifestata la tendenza a ricomprendere nella categoria delle Pmi anche le mid cap spingendosi per alcune misure fino a imprese con tremila dipendenti.

  

La stessa Commissione europea riconosce una serie di criticità specifiche per le micro e piccole imprese come accesso al credito, difficoltà a ottenere finanziamenti e incentivi europei. Le proposte individuate da Bruxelles appaiono inadeguate. Ad esempio il riferimento alla sola rete Een (Enterprise Europe Network) è insufficiente e comunque ne andrebbe verificata l’attività oltre a garantire un reale coordinamento dei consorzi attivati e un concreto coinvolgimento delle associazioni di rappresentanza della piccola impresa. Perplessità sulla figura di un alto rappresentante per le Pmi – Sme Envoy e la creazione di una rete di rappresentanti nazionali. Si tratta della riedizione dei mister Pmi che non hanno prodotto risultati apprezzabili. Positivo invece l’obbligo di analisi preventiva sugli effetti per le Pmi di nuove disposizioni legislative. Ma al di là delle singole misure la pietra angolare per una nuova stagione deve essere l’attenzione alle specificità di un mondo, quello della micro e piccola impresa, che genera il 37 per cento del valore aggiunto in Europa e quasi il 50 per cento dell’occupazione. Numeri che in Italia salgono al 48 e al 65 per cento. Serve un cambio di passo e su questo rilevante capitolo del futuro dell’Europa è la Commissione di Bruxelles che deve fare i compiti.

  

*Segretario generale della Cna

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