Il Pd e una cupa tentazione: la scorciatoia giudiziaria su migranti e identità al nord

Per governare l’immigrazione e sedurre il partito del pil, il Pd non può limitarsi a chiedere le dimissioni di Attilio Fontana e a scommettere sul processo a Salvini. Indagine sui due nuovi tabù della sinistra

di Claudio Cerasa,3.8.2020 ilfoglio.it lettura 5’

Via giudiziaria no, grazie. Nella vivacissima estate di passione in cui proverà a districarsi la politica italiana, tra gestione della pandemia, progetti per il recovery fund, campagna per le regionali, ritorno dell’immigrazione, polemiche sui barboncini, sovranisti a processo e scazzottate tra alleati di governo, c’è un doppio tema identitario con cui l’unico partito dotato di calzoni lunghi all’interno dell’esecutivo dovrà fare i conti. E i temi in questione coincidono con due questioni chiave, politicamente vitali.

Il primo tema ha a che fare con la gestione dell’immigrazione, il secondo tema ha a che fare con la gestione della questione settentrionale. I due temi possono apparire come molto distanti l’uno dall’altro, ma presentano una pericolosa caratteristica comune, che se presa sotto gamba rischia di mortificare il profilo riformista del Pd: la tentazione di affrontare i due temi percorrendo la suicida via della scorciatoia giudiziaria. Sul primo punto la questione è chiara ed è fin troppo scontata e non ci vuole molto a capire che il Pd oggi si trova di fronte a un bivio importante. Da una parte c'è la possibilità di trasformare il processo a Salvini, sul caso Open Arms, in una formidabile arma per aggredire il trucismo con le armi della giustizia mediatica, trasformando così il senatore della Lega non semplicemente in un politico irresponsabile ma più direttamente in un furfante fino a prova a contraria.

Dall'altra parte c’è invece la possibilità che il Partito democratico abbandoni ogni titubanza sul tema dell'immigrazione non semplicemente cambiando i decreti sicurezza (cosa di fatto già accaduta e che avverrà in modo formale a settembre) ma anche provando a fare quello che diversi sindaci riformisti del Pd chiedono di fare al loro segretario: governare l’immigrazione non usando la semplice e vuota leva della politica dell’accoglienza ma usando la saggia e seria leva della politica dei gestioni dei confini. “Dirò forse una cosa poco di sinistra. Il Pd – ha confidato la scorsa settimana al nostro Carmelo Caruso il sindaco di Bologna Virginio Merola, esprimendo un concetto simile a quello espresso anche da Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, e da Matteo Ricci, sindaco di Pesaro – deve avere un progetto sull’immigrazione per parlare alla pancia del paese. Si, alla pancia. Non significa che dobbiamo urlare. Noi siamo razionali ma per fare i razionali ci vuole sentimento”. La chance del Pd di crescere e di evitare di ridare fiato al salvinismo passa dalla capacità di saper dimostrare con i fatti che governare l’immigrazione è qualcosa di più sofisticato del voler solo fare gli anti salviniani.

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Ma allo stesso tempo la chance del Pd di crescere e tentare di essere qualcosa di diverso dal partito delle Ztl passa dalla capacità di saper leggere tra le righe di quello che è il suo principale deficit politico: l’incapacità di fare della rappresentanza del nord produttivo una priorità della propria agenda politica. Il Pd ci può girare quanto vuole ma a pochi giorni dalle prossime regionali si trova in una condizione difficile da decifrare: al nord praticamente non tocca palla, in Veneto il centrosinistra ha rinunciato in partenza a cercare uno sfidante contro Luca Zaia, in Liguria il candidato del Pd e del M5s è probabile che non venga votato da buona parte degli elettori del Pd, in Emilia Romagna Stefano Bonaccini governa osservando in modo meno benevoli rispetto a qualche mese fa, gli imprenditori del nord fanno sempre più fatica a considerare il Pd il partito su cui scommettere, le grandi città del nord sono amministrate prevalentemente da sindaci di centrodestra, i sindaci di centrosinistra che amministrano al nord (Sala, Gori) vengono considerati da un pezzo della classe dirigente del Pd come sindaci interpreti di una linea sostanzialmente di destra e la catena di comando del Partito democratico sembra essere concentrata più a rilanciare la questione meridionale, più soldi al sud, che ad affrontare la questione settentrionale, ovvero come far ripartire il prima possibile il più importante motore dell’economia italiana, colpito dal dramma del Covid anche più delle regioni del sud.

Il Pd potrebbe parlare di tutto questo, potrebbe ragionare su tutto questo, potrebbe investire su tutto questo, potrebbe investire su un progetto più ambizioso della rendita di posizione ma al momento su questo fronte corre un rischio non troppo diverso da quello registrato sul tema dell’immigrazione: trasformare la via giudiziaria nell’unica strategia utile per creare un’alternativa al modello nordista incarnato da Salvini. Nel caso specifico, la via giudiziaria in questione è quella che riguarda la battaglia legale che si combatterà nei prossimi mesi contro il poco presentabile e poco credibile governatore della Lombardia Attilio Fontana. Ma per quanto sia più che comprensibile chiedere a Fontana di offrire lumi sulle sue verità alternative, diciamo così, il centrosinistra dovrebbe prendere atto di un problema mica da poco: l’inesistenza al nord di un progetto politico capace di far notizia più di un’esultanza per un’indagine su un governatore leghista. Sarà difficile, con questo passo, che il Pd riesca a ricostruire una sua agenda per il nord. Ma sarebbe un peccato se il partito riformista con più consenso nel paese perdesse l’occasione di fare quello che sabato scorso gli ha suggerito di fare sulle pagine del nostro giornale l’ex ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan: trasformare le condizionalità previste nel Recovery Fund (maggiore produttività, investimenti digitali, sburocratizzazione, riforma della giustizia civile) non per regalare generica assistenza ma per provare a modernizzare il paese. Le scorciatoie giudiziarie anche no, grazie.

Commenti   

#2 riki 2020-08-03 17:15
Alleanza politica? No grazie. Orfini spiega cosa divide Pd e M5S
L'ex presidente del Pd dice a Formiche.net che il Piano Bettini non si può fare, Pd e M5S "sono alternativi". Sui decreti sicurezza il governo si accontenta di un salvo intese, ma andavano abrogati. E anche Conte ne è responsabile. Francesco Bechis formiche.net
#1 riki 2020-08-03 15:34
L’errore del Foglio è di insistere su vecchi presuppost: un PD che si trasforma ! Ma sono anni cge non ci riesce, figurarsi ora che la guida del partito è in mani di exDC ! Che di Giustizia, gamba della sinistra da anni, affronta il problema diviso. Sembra che ilFoglio non ricordi la corrente MIGLIORISTA di Napolitano. nel PCI: parole riformiste ma sempre rientrate.
Ha ragione la Mancina nel suo articolo qui, nel dire che ha perso con le vittorie elettorali di Renzi, di trasformare il partito ! Per non dire della questione meridionale, la Sicilia p.es. dove per le ferie non si lavora per allocare ingenti quantità di risorse.
cubo88

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