Durante il lockdown erano tutti animalisti. Poi a Milano sono riapparsi i topi

In molti hanno gioito, nelle settimane di quarantena, per il ripopolamento animale delle città. Peccato che i ratti non siano accolti al pari delle cianciallegre e dei cigni

ANTONIO GURRADO 10 SET 2020 ilfoglio.it

Non saranno emozionanti come i cinghiali, i gabbiani e i draghi che infestano Roma, però a Milano – città che pur con tutto il suo glitter serba un contegno longobardo e scabro – sono riapparsi i topi. Li hanno visti in via Verga, poi in piazza della Vetra, sontuosa e sottovalutata, ma la misura è parsa colma quando i passanti hanno assistito a una sfilata di ratti in San Babila, a negozi ancora aperti. Pare che allora qualcuno – con quel tocco di disintermediazione pragmatica e innovativa altresì tipica del luogo – sia corso agli estremi rimedi e abbia scattato una foto da postare su Instagram taggando Beppe Sala. Il quale sindaco però, spiega la scienza, è incolpevole.

Ricordate i tempi del lockdown, quando era tutto un fiorire di articoli illustrati entusiastici perché la sospensione della quotidianità aveva liberato le città dalla presenza invasiva dell’uomo, consentendo il ritorno nei centri urbani della cinciallegra, del cervo, della tartaruga, del cigno, dell’unicorno? Bene, gli etologi sostengono che il lockdown, chiudendo la ristorazione, abbia fatto venire meno involontarie risorse per colonie di topi che, per sopravvivere, hanno dovuto diventare più aggressivi e sfacciati, facendosi vivi e invadendo i nostri spazi senza ritegno, per costringerci ad arretrare e a perdere terreno. È un bene, no? O bisogna essere animalisti solo con le bestioline da cartone animato?

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