Gennaro Vecchione, l'equilibrista

Il capo del Dis parla con gli americani ma non esclude i cinesi. Il rapporto sul 5G che piace tanto a Huawei

GIULIA POMPILI 19.9. 2020 ilfoglio.it lett.4’

Sul'infrastruttura del futuro e sul resto dei dossier cinesi (porti, spionaggio, industria) il Dis si tiene su una posizione scomoda: senza litigare con l’America, ma senza urtare la Cina. Da che parte sta l’uomo dei servizi segreti di Conte. Sullo sfondo, la visita delsegretario di stato Mike Pompeo in Italia a fine settembre

CINA ITALIA INTELLIGENCE GENNARO VECCHIONE

Gennaro Vecchione, lo zar dei servizi d’intelligence italiani, l’uomo di fiducia del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è considerato “poco deciso” quando si tratta di scegliere tra Atlantismo e Dragone. “Rispecchia perfettamente il comportamento ondivago di questo governo, no?”, domanda retoricamente al Foglio un rappresentante del mondo del business italiano in Asia.

Da una parte i Cinque stelle, ancorati saldamente alla speranza (economica, soprattutto) che viene da Pechino, dall’altra l’imbarazzo del Partito democratico, che cerca di distinguere fra stato di diritto e opportunità economiche. In mezzo c’è la presidenza del Consiglio. E c’è Vecchione, che più del Copasir dovrebbe rappresentare la terzietà, il tecnicismo del mondo dell’intelligence. Ex prefetto, generale della Guardia di Finanza, Vecchione guida il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza dal 10 dicembre del 2018. E’ stato chiamato direttamente da Conte, che ha tenuto per sé le deleghe ai servizi segreti e ora vorrebbe prorogarne i vertici provocando i mal di pancia dei partiti al governo. Ma capire la posizione di Vecchione sulla Cina significa capire quali saranno le prossime mosse effettive del governo per mettere in sicurezza non solo le infrastrutture strategiche del paese, ma anche le relazioni con gli alleati tradizionali.

Il 2 marzo scorso, cioè quando l’epidemia da Covid era già iniziata ma non era ancora stata riconosciuta come una pandemia, Vecchione e Conte erano seduti l’uno accanto all’altro alla presentazione della relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza. Il capo del Dis ha pronunciato il suo discorso, e ha iniziato citando le minacce che arrivano dal terrorismo islamico, poi il fenomeno migratorio, le aggressioni economiche agli asset strategici italiani. Anche nella relazione testuale, in molti hanno notato una certa vaghezza sulle attività cinesi, sui potenziali rischi per le infrastrutture strategiche, sulla propaganda e sulla disinformazione.

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Vecchione in un passaggio dice che “paesi da tempo impegnati in significative proiezioni di potenza su scala globale” – la Cina di Xi Jinping? – “si sono dimostrati assertivi, mentre i sistemi di alleanza hanno talvolta trovato difficoltà nel trovare voce e posizioni univoche”. E poi, tra gli obiettivi del Dis, mette “il contrasto alle campagne di spionaggio digitale e le diverse tipologie di attacchi cyber”. Sarà infatti il Dis a fornire tra qualche giorno la documentazione necessaria richiesta dal Copasir sulla questione della schedatura di quasi cinquemila italiani da parte della società di intelligence di Shenzhen, Zhenhua, rivelata dal Foglio il 13 settembre. Ma non sarebbe la prima volta che Dis e Copasir si trovano su due posizioni diverse. Lo scorso dicembre, dopo l’indagine sulla questione delle aziende di telecomunicazioni cinesi e il 5G italiano, il Comitato parlamentare per la sicurezza aveva consegnato agli interessati un documento particolarmente duro, che chiedeva l’esclusione di aziende come Huawei e Zte dall’infrastruttura italiana. Un paio di mesi dopo, nella relazione, il Dis diceva il contrario: “Il nostro paese ha adottato un approccio basato su parametri oggettivi – connessi, cioè, alle caratteristiche della nuova tecnologia – individuando strumenti idonei a fronteggiare i rischi per la sicurezza nazionale”. Vuol dire: sappiamo riconoscere se un’azienda cinese è un pericolo per la nostra sicurezza oppure no. Una specie di indiretto endorsement “tecnico” che non a caso Luigi De Vecchis, presidente di Huawei Italia, cita spesso per contestare quello che considera il bias politico della relazione del Copasir. Per essere più chiaro, Vecchione aveva concesso una irrituale intervista al Sole 24 Ore, in cui tornava sul golden power come strumento di sicurezza e spiegava che comunque “nella filiera del 5G si intrecciano, al livello globale, numerosi attori, in forte competizione fra loro, intenti a guadagnare posizioni di supremazia tecnologica. Il nostro approccio prende le mosse da queste consapevolezze”. America e Cina litigano, dice Vecchione, quindi bisogna restarne fuori. Coerentemente con la posizione di Conte, che incassa gli endorsement di Donald Trump (e lo aiuta quando serve, ricordate il caso Barr, Mifsud e il Russiagate? Fu mandato proprio Vecchione a parlare con il ministro della Giustizia americano) ma tenta di non scontentare mai l’amico Xi Jinping. Una posizione da equilibristi.

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