Il costo del blocco dei licenziamenti

“La proroga è impensabile”, dice il ministro Patuanelli. “Ci batteremo con tutte le forze contro questo provvedimento”, rispondono i sindacati

LUCIANO CAPONE 17 OTT 2020 ilfoglio.it lett.4’

È scontro tra governo e sindacati (nel governo tra Patuanelli e Catalfo) sul blocco dei licenziamenti. L'estensione del divieto, come dicono Ocse e Banca d'Italia, rischia di provocare fallimenti e penalizzare i giovani. E' uno di quei provvedimenti che fanno raccogliere facili consensi, ma che diventano politicamente costosi quando è il momento di toglierli perché creano troppi danni. Non è un caso in Europa, a parte l'Italia, nessun altro paese abbia introdotto una norma del genere

LICENZIAMENTI LAVORO STEFANO PATUANELLI NUNZIA CATALFO SINDACATI

“Non può essere prorogato, un ulteriore blocco dei licenziamenti è impensabile”, dice il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. “Sarebbe un dramma, ci batteremo con tutte le forze contro questo provvedimento” rispondono i sindacati Cgil, Cisl e Uil. Il blocco, originariamente previsto per 60 giorni a partire dal 23 febbraio, è stato poi esteso per cinque mesi e infine per altri quattro mesi fino al 31 dicembre. Ma non può durare in eterno. Come ha ricordato sul Foglio il giuslavorista Michele Faioli, nella storia italiana solo in un’altra occasione è stata introdotta una norma analoga: dopo la Seconda guerra mondiale, quando il sistema produttivo era stato completamente distrutto, e comunque per una durata inferiore (otto mesi).

Il problema è che il divieto di licenziamento è una di quelle norme che inizialmente fanno raccogliere molti e facili consensi, ma che poi diventano politicamente molto costose quando è il momento di eliminarle. E siccome l'esito era prevebidibile, questo era proprio uno dei motivi per cui non andava introdotta. Non è un caso che l’Italia sia stato l’unico paese in Europa e nel mondo sviluppato ad aver adottato una misura del genere. Nessun altro paese, a prescindere dai lockdown e dalle strategie più o meno dure usate per contrastare la pandemia, lo ha fatto. Non vuol dire che negli altri paesi europei ci siano stati licenziamenti di massa e dipendenti buttati in mezzo alla strada. Tutti hanno tutelato lavoratori e livelli occupazionali attraverso aiuti alle imprese e forme di cassa integrazione universale e straordinaria, estesa anche alle piccole imprese.

Ma oltre che superfluo, se prolungato, il blocco rischia di diventare anche dannoso. Come scrivevano a luglio sul Foglio economisti quali Andrea Garnero e Marco Pagano, o ad agosto Giampaolo Galli sempre sul Foglio e Tito Boeri su Repubblica, l’estensione prolungata del blocco dei licenziamenti non solo non avrebbe risolto i problemi occupazionali, ma li avrebbe al massimo rinviati e molto probabilmente aggravati. Perché così si pietrifica l’economia, impedendo al sistema produttivo di ristrutturarsi di fronte allo shock, al costo di una perdita di efficienza e di occupazione più elevata in futuro. Purtroppo, vietare i licenziamenti non garantisce che le persone conservino posti di lavoro fittizi che la crisi ha già spazzato via. Anzi questa rigidità, ostacolando i processi di trasformazione, acquisizione e fusione delle imprese, rischia di ritardare gli investimenti e di spingere verso la chiusura aziende che in qualche misura avrebbero potuto farcela. Anziché tenere il sistema produttivo congelato, nella convinzione che tornerà a funzionare esattamente come prima dopo lo scongelamento che avverrà non si sa quando, il governo avrebbe tutelato meglio i lavoratori in prima istanza sostenendone il reddito e poi potenziando la formazione (ma considerato che il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha deciso di tenere all’Anpal l’inventore dei navigator Mimmo Parisi, vuol dire che le politiche attive non sono una priorità).

Si dice che togliere il blocco dei licenziamenti è una richiesta della Confindustria e per questo non va bene. Ma queste considerazioni sono state esposte da istituzioni come la Banca d’Italia: “L’estensione temporale del blocco dei licenziamenti – ha scritto un mese fa Via Nazionale in una memoria sul dl "Agosto” – potrebbe rallentare nel medio periodo la riorganizzazione aziendale e la riallocazione dei lavoratori tra imprese e tra settori, penalizzando i lavoratori espulsi dal mercato del lavoro nei mesi scorsi, in larga parte giovani”. Cosa accaduta con i contratti a termine scaduti e non rinnovati (anche perché il governo non ha voluto toccare il decreto “Dignità”). Un’analisi analoga è quella dell’Ocse, secondo cui il divieto dei licenziamenti “può provocare ulteriori fallimenti aziendali” e “rischia inoltre di spostare ulteriormente l’onere dell’adeguamento sui contratti temporanei”. E’ esattamente ciò che è successo che si sta verificando. E’ evidente che il governo non può andare avanti così, anche se togliere il blocco dei licenziamenti è politicamente difficile. L’ostacolo interno più grande è il ministro del Lavoro Catalfo, molto vicina alla Cgil. Non è un caso che sul tema sia intervenuto il suo dirimpettaio del Mise e compagno di partito Patuanelli.

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