L’ultima barricata. Un paese rassegnato al lockdown, considerato un castigo inevitabile più che strategia

La questione non pare essere se chiudere tutto ma quando. E su questo si materializzano due governi: quello nazionale che temporeggia e quello del governatore che manda in tilt il primo invocando la clausura generale in tutta Italia

Mario Lavia, 24.10.2020 linkiesta.it

Il lockdown nella mente ce l’abbiamo tutti, diciamo la verità, dentro di noi lo consideriamo inevitabile, forse come un castigo oltre che come una strategia. Un castigo per le leggerezze di quest’estate, o per peccati commessi chissà quando: ma non è questo il punto. Il lockdown come arma finale, quando tutte le altre hanno fatto cilecca – i lockdown mirati, i coprifuoco notturni, la dad (didattica a distanza, ndr), gli aut aut alle palestre e altre amenità e mezze misure. La questione non pare essere se chiudere tutto ma quando.

E su questo si materializzano due governi: quello nazionale che temporeggia e quello campano di Enzo De Luca che manda in tilt il primo invocando la chiusura generale in tutta Italia.

Il lockdown è infatti l’ultima barricata, dopo la quale c’è la capitolazione. Ma è anche la barricata più alta, più resistente. Proviamola, anzi riproviamola, dice un agitato De Luca, un mese fa vincitore a valanga alle Regionali e che oggi pare un uomo solo contro il mondo. Ma lui parla chiaro, a differenza di Conte: tirare i ponti levatoi, tutti a casa.

Si potrà non essere d’accordo ma l’alternativa, da palazzo Chigi, non la sanno indicare. È un po’ come il Pd a Roma che è contro Carlo Calenda ma non sa avanzare una scelta migliore. E i numeri del contagio vanno sempre peggio. Fino a quando? Si è ammalato pure un cuoco del Quirinale, inverando così il vecchio motto di Lenin della cuoca che dirige lo Stato, o perlomeno lo infetta. E speriamo che il Colle più alto, e il suo illustre inquilino (del quale forse il Paese vorrebbe ascoltare un messaggio dei suoi), ne restino immuni, cucine a parte.

Il tutto mentre ogni ora c’è un presidente di Regione che chiude qualcosa, decreta coprifuoco, emana ordinanze, in un caleidoscopio di iniziative sconnesse fra di loro, seguendo il famoso particulare di Guicciardini che non portò nulla di buono già nel Cinquecento, illudendosi – come dice un proverbio arabo – che spazzando ognuno davanti casa sua la città sarà pulita: ma non funziona così perché qui non si salva la Campania o il Veneto se non si salva tutto il Paese.

Ma tutto questo succede perché c’è un altro lockdown. Quello di Più alazzo Chigi (ahimé, non solo in senso figurato, e auguri al ministro Boccia colpito dal virus e finito in quarantena). Un lockdown politico ormai evidente a tutti, amici e nemici. Alla squadra di governo andrà data tutta la comprensione umana: è tutta gente scossa, provata, stanca che rischia di pagare colpe non sue, o non solo sue. Dice: ma anche all’estero è così. Non basta, come scusante: si poteva far molto meglio perché avevamo il vantaggio di esserci già passati ma, come dice Crisanti, siamo tornati al punto di partenza, e questo è un dato di fatto.

È chiaro che Conte non sa cosa fare, che diversi ministri non reggono. Poi ci si mette anche un pizzico di dabbenaggine e si incappa in errori tragicomici, come quello di Roberto Speranza, autore di un libro con un titolo che oggi sembra una presa in giro, Perché guariremo, giustamente ritirato dal mercato, come ha scoperto Il Foglio con un piccolo scoop che non si sa se faccia più ridere o piangere. Ha voglia, Nicola Zingaretti, a chiedere al governo «un cambio di passo»: la verità è che non si regge in piedi. E siccome i vuoti si riempiono, siamo in una situazione nella quale decide De Luca. Così finiscono i governi.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata