Contrordine camerati. La destra tedesca rinuncia al radicalismo, Salvini non ha capito che la pacchia è finita

Il Congresso dell'Afd, partito alleato della Lega, abbandona l’oltranzismo xenofobo e riconosce che senza un profilo credibile e istituzionale sarà spazzato via dagli elettori. I leghisti avranno lo stesso coraggio?

Flavia Perina linkiesta.it 30.11.2020 lettura3’

Delegato del partito AFD con mascherina "Rechts" (Destra) al congresso federale del partito AfD a Kalkar, in Germania. (Rolf Vennenbernd/dpa via AP)

Soltanto un paio di anni fa i congressi dell’ultradestra tedesca facevano più notizia per gli scontri tra dimostranti e polizia all’esterno che per i discorsi all’interno. Il Covid ha cambiato il vento anche per le vele della più oltranzista, xenofoba, antieuropea delle forze continentali: le ultime assisi dell’Afd hanno segnato un vigoroso “contrordine camerati” da parte del presidente Jorg Meuthen, che ha stangato e irriso l’ala fondamentalista («Dittatura sanitaria? Se ci fosse davvero non staremmo riuniti qui») e avvisato la platea: senza un profilo più credibile e istituzionale, alle prossime elezioni nel 2021 saremo spazzati via.

Qui da noi si potrebbe giudicare irrilevante la notizia se la Afd non fosse il terzo partner in ordine di importanza del raggruppamento dei sovranisti europei: il primo è la Lega, il secondo il Rassemblement National di Marine Le Pen, gli altri sono briciole irrilevanti, qualche danese, un paio di belgi, un estone e poco più. E dunque il contrordine rende chiaro un sentimento nuovo che si aggira tra le forze antisistema dell’Unione: la percezione diffusa che lo stato di grazia del 2018, quando bastavano un paio di strilli contro gli immigrati e gli euroburocrati per far volare i consensi, sia finito per sempre. Bisogna inventarsi qualcos’altro, e in fretta.

Sì, la pacchia è finita. Per molti motivi, non ultimo il declino di un format di successo, quello della provocazione, dell’aggressività, del commento disinibito o politicamente scorretto, per dirla con parole degli Anni Novanta. La cosa buffa è che i rigidi tedeschi dell’Afd abbiano colto questo tema “estetico” assai prima degli italiani: una buona parte del discorso di Meuthen è stata dedicata alla necessità di raccontarsi in modo meno rozzo e grossolano. Il “parla come mangi”, motto supremo dei leader della stagione populista, funziona sempre meno davanti a un’opinione pubblica che comincia – causa pandemia – a rivalutare le competenze e a cercare classi dirigenti che ne sappiano più dell’uomo della strada.

La rettifica politico-semantica del messaggio sarà uno dei grandi temi del 2021 per le destre sovraniste. In Germania è facilitata dal succedersi delle leadership (l’Afd ha avuto tre diversi segretari in pochi anni), in Italia e Francia è oggettivamente ostacolata dalla loro persistenza e indiscutibilità. Marine Le Pen ha annunciato poche settimane fa che sarà di nuovo lei, fra due anni, la candidata del RN per l’Eliseo: è difficile immaginare scelte diverse dalla continuità, anche se il suo ruolo rischia di risolversi nella pura testimonianza. Matteo Salvini resta arbitro quasi assoluto del mondo leghista ed è ovvio che faccia fatica a rinnegare se stesso, imboccando strade diverse da quelle che lo hanno reso potentissimo.

E tuttavia il mutare dei tempi ha un peso, anche da noi. Anche da noi è chiaro a tutti che “la pacchia è finita”. Senza questa convinzione, il voto unanime sullo scostamento di bilancio non sarebbe stato possibile, così come tutti i precedenti accomodamenti del centrodestra sui decreti Covid (sì, ci sono stati, anche se nessuna delle parti ha voluto pubblicizzarli troppo). La sensazione è che l’idea di “normalizzare” le destre tenti tutti i soggetti che le compongono, ma che nessuno abbia ancora trovato l’animo di esprimerla pubblicamente per timore di vedersi rubare dagli altri lo spazio dell’estremismo.

D’altra parte, per compiere questo tipo di svolte serve un coraggio speciale. I vecchi leader, quelli della Bolognina, del Midas, di Fiuggi, in qualche modo lo trovarono, correndo i loro rischi, compreso quello delle inevitabili scissioni. I nuovi stentano, prendono tempo: forse aspettano che gli eventi decidano per loro, sottraendoli alla responsabilità di argomentare un cambio di passo. O forse non sono così decisionisti e impavidi come li abbiamo immaginati finora…

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