Il tragico carnaio di Cassino: inferno all'ombra dell'abbazia

Cassino rappresentò uno snodo decisivo per il fronte italiano nella Seconda guerra mondiale, ma trasformò le zone vegliate dalla secolare abbazia in un inferno di fuoco e macerie

Andrea Muratore - 21/02/2021 - ilgiornale.it   lettura7’

La battaglia di Cassino infuriò ferocemente a partire dal 17 gennaio 1944 impegnando, nei quattro mesi successivi, i reparti alleati intenti a risalire l'Italia e a respingere le forze tedesche che dalla resa del governo Badoglio del settembre 1943 ne occupavano una parte sostanziale.

Primo teatro aperto dalla coalizione a guida anglo-americana nell'Europa occidentale, la campagna d'Italia si era arenata dopo che allo sbarco di Salerno (8 settembre 1943) era seguita la pronta conquista di Napoli (1 ottobre). Considerata secondaria nel quadro di un disegno strategico che prevedeva come prioritaria l'Operazione Overlord (sbarco in Normandia) del giugno successivo, essa serviva in primo luogo a inchiodare oltre le Alpi consistenti forze e riserve tedesche.

Il maresciallo britannico Harold Alexander, comandante delle forze alleate in Italia, calcolò che nel 1943, in Italia, tredici divisioni alleate tenevano impegnate diciotto divisioni tedesche, di dimensione e organico mediamente ben più ridotte, che complice la natura geografica favorevole del contesto appenninico, che gli Alleati erano costretti a risalire, riuscirono a trincerarsi efficacemente.

La Linea Gustav

Il comandante tedesco del fronte italiano, feldmaresciallo Albert Kesselring, aveva predisposto una graduale ritirata delle forze del Terzo Reich dalla linea temporanea tenuta sul fiume Volturno alla più imponente Linea Gustav, che rappresentò una lungimirante intuizione in termini di ingegneria militare e strategia difensiva. La Gustav consolidava una piattaforma difensiva continua tra Mare Adriatico e Mar Tirreno collegante Gaeta, nel Lazio, e Ortona, in Abruzzo, in corrispondenza di uno dei punti di minore larghezza della penisola. Da costa a costa, la Gustav consisteva in una serie di fortificazioni poste su rilievi naturali, gole, strettoie volte a presidiare con il minor numero di uomini il massimo territorio facendo perno sull'ostile natura degli Appennini, sull'asprezza del territorio e sul controllo del passaggio obbligato rappresentato dalla serie di valli fluviali nel cuore dell'Italia centrale.

Il perno di questo schieramento fu individuato in Cassino, nel Lazio meridionale, città che come ricorda Matthew Parker nel suo libro dedicato alla battaglia (Montecassino, Il Saggiatore, 2009) rappresentava la porta alla valle del Liri che avrebbe aperto agli Alleati la strada di Roma. Facendo saltare una diga ed esondare il fiume Rapido i tedeschi trasformarono in un pantano acquitrinoso il terreno attorno Cassino, e mentre in prima linea la la 29ª Divisione granatieri corazzati incorporata nella Decima Armata del generale Heinrich von Vietinghoff dettava con la sua ritirata ordinata i tempi dell'avanzata alleata nell'abitato sorto all'ombra dell'antica Abbazia di Montecassino venivano installati campi minati, nidi di mitragliatrice, capisaldi.

Il generale statunitense John Lucas si lamentò il giorno di Santo Stefano dei ritardi nell'avanzata alleata: "L'offensiva è di una lentezza spaventosa, [...] non abbiamo truppe sufficienti per andare più veloci e temo che con il passare del tempo diventeremo più deboli, non più forti: sono convinto che questo stia diventando un teatro secondario". A fine gennaio era previsto lo sbarco di Anzio volto ad aggirare la Linea Gustav, ma la presenza di capisaldi e teste di ponte tedesche rendeva l'esistenza stessa della linea un grattacapo da risolvere per gli Alleati. Il comandante supremo Dwight D. Eisenhower espresse la sua personale visione ritenendo preferibile per gli Alleati inchiodare il maggior numero possibile di truppe tedesche sul suolo italiano e dare dunque fondo a tutti i reparti disponibili: nel corso dell'offensiva di Cassino agli anglo-americani si sarebbero aggiunti reparti del Commonwealth (Nuova Zelanda in primis), della Francia Libera e del governo polacco in esilio. Rendendo l'armata d'Italia un vero e proprio esercito multinazionale, il cui perno erano il II Corpo d'Armata Statunitense del maggior generale Geoffry Keyes, forte di quattro divisioni di fanteria ed una corazzata, e il X Corpo Britannico, dotato di tre divisioni.

Il comandante tedesco nel settore di Cassino, guidate dal generale Fridolin von Senger, potevano invece contare su otto divisioni, di cui due (3° e 15°) di Panzergrenadier, mentre tra Cassino e l'Adriatico era schierata un'unità destinata a entrare nella storia della battaglia, la 1° Divisone Paracadutisti, i cui membri sarebbero stati soprannominati dagli Alleati i Green Devils, "Diavoli Verdi", per la tenacia mostrata nella lotta per Cassino.

Ritorno alla Grande Guerra

A inizio gennaio 1944 il contatto con la Linea Gustav fu raggiunto e iniziarono le schermaglie sul fronte appenninico. In quel contesto maturerà la situazione strategica che ben presto porterà all'inizio del carnaio di Cassino.

Gli storici dibattono da tempo su come la battaglia ebbe effettivamente inizio, ma è ormai appurato che fin dal contatto tra tedeschi e Alleati sul fronte della Linea Gustav la regione di Cassino, dall'inizio del 1944, fu oggetto di schermaglie, azioni di unità e commando, tentativi di aggiramento. Nei giorni successivi al 15 gennaio 1944 la pressione alleata si fece più forte: l'obiettivo di Alexander e del comandante statunitense Mark Clark era tentare l'avanzata mettendo sotto pressione i tedeschi e evitando che delle riserve si potessero sganciare per raggiungere la costa in visto dell'imminente sbarco di Anzio, con cui si sarebbe tentato l'avvicinamento a Roma aggirando la Gustav.

Il meteo gelido, il terreno difficile e ostile, la scarsa preparazione degli Alleati al fuoco di sbarramento e alle efficaci trappole tedesche impantanarono fin dall'inizio la battaglia tra gli Appennini e la valle del Liri in una snervante guerra di posizione. Dalle loro postazioni i tedeschi erano in grado di mettere in campo efficaci contrattacchi e misure di alleggerimento: quando il 20 gennaio una task force americana tentò di costituire una testa di ponte oltre il Rapido, un contrattacco di fanteria e mezzi corazzati tedeschi la travolse nel giro di 48 ore, portando all'annientamento di due reggimenti e alla morte di oltre 900 militari a stelle e strisce, a fronte di 90 caduti per le truppe del Reich. Il contrattacco era stato reso possibile dal controllo tedesco sul paesino di Sant'Angelo, punto di osservazione privilegiato posto su una collina soprastante il corso d'acqua.

Quando lo sbarco a Anzio comandato dal generale Lucas, iniziato il 22 gennaio, si palesò come un fallimento e la testa di ponte alleata sul litorale laziale non fu espansa fino alle dimensioni necessarie a consentire attacchi alle spalle della Gustav Cassino assunse ulteriore valenza strategica e politica. Da Londra Winston Churchill perorava un'offensiva costante per motivazioni militari e politiche, volendo sfuggire alle accuse sovietiche secondo cui Mosca stava sobbarcandosi un peso eccessivo nel conflitto con le potenze dell'Asse mentre gli Alleati occidentali rimandavano da mesi l'apertura del secondo fronte in Francia.

La battaglia di Cassino riaprì per alcuni mesi negli incubi dei combattenti e dei comandanti i ricordi dei tempi della Grande Guerra. Il fronte appenninico presentava peculiarità della guerra di trincea del fronte occidentale (snervanti attacchi e contrattacchi, sostanziale sacrificabilità tattica delle unità di fanteria, assenza di reali punti decisivi in cui portare attacchi e offensive) e del fronte alpino (necessità di conquistare ridotti montani di difficile accessibilità, preponderante squilibrio a favore delle forze della difensiva nella conduzione tattica), e un paragone con la Somme fu avanzato dal veterano della Grande guerra von Senger. Questi, che continuava a nutrire dubbi sulla difendibilità di Cassino, fu però magistrale tra la seconda metà di gennaio e la prima di febbraio a contenere avanzate locali e iniziative autonome dei reparti alleati. Diversi battaglioni coloniali algerini della Francia Libera furono decimati, mentre tra il 17 gennaio e l'11 febbraio i britannici persero 4.000 uomini tra morti e feriti .

Il bombardamento dell'abbazia

Nel furore della battaglia, l'abbazia Montecassino svettava, a 516 metri di quota, silenziosa e indisturbata nel furore degli scontri. Troneggiando sul colle da cui San Benedetto da Norcia aveva, nel 529, iniziato la stagione di rinascita della cristianità dopo il tracollo dell'Impero Romano, Montecassino aveva più volte subito assalti, distruzioni, saccheggi. A distruggerla per primi erano arrivati i longobardi nel 580, seguiti tre secoli dopo dai saccheggiatori saraceni. Nel 1349, mentre in Europa infuriava la peste nera, a raderla al suolo era stato un terremoto. Resistente e tenace, Montecassino era risorta più volte, animata e vitalizzata dalla saggezza, l'impegno e la dedizione dei monaci benedettini, che l'avevano trasformata in un polmone culturale per l'intera civiltà cristiana, uno scrigno nella cui biblioteca i codici miniati testimoniavano la salvezza di un'antica saggezza che all'inizio del Medioevo rischiava di andar perduta.

La storia avrebbe nuovamente messo alla prova Montecassino: dopo averne a lungo rispettato la neutralità e dopo che i suoi tesori erano stati portati al sicuro in Vaticano, i tedeschi iniziarono a valutare l'inserimento di Montecassino nel perimetro difensivo, mentre gli Alleati iniziarono a valutare l'ipotesi di utilizzare i bombardamenti strategici come arma per vincere la battaglia seppellendo Cassino e i suoi difensori sotto una pioggia di bombe incendiarie. Il generale neozelandese Bernard Freyberg, i cui uomini avrebbero avuto il compito di sferrare l'offensiva di metà febbraio, divenne il più caloroso sostenitore della necessità di radere al suolo l'abbazia per prevenirne l'occupazione da parte tedesca, sostenendo su informazioni ricevute dalle truppe indiane al servizio degli Alleati che postazioni militari erano già state installate nel colle.

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