Sport, CASO SCHWAZER/ L’avvertimento del boss Coe ha il merito di scoprire le carte

Con l’assunzione di responsabilità del capo dell’atletica mondiale si sa finalmente a chi chiedere conto della porcata fatta a Schwazer. Quale ricatto si nasconde dietro le sue parole?

20.03.2021 - Nando Sanvito ilsussidiario.net lettura2’

Bisogna essere grati al boss dell’atletica mondiale! In un colpo solo ha dato visibilità internazionale all’ordinanza del giudice Pelino e ha messo esplicitamente sul tavolo le carte della partita. Come? Intanto sgombrando il campo da ogni equivoco: apprendiamo che gli illeciti comportamenti della World Athletics/ex Iaaf emersi durante il procedimento giudiziario di Bolzano non sono da ascrivere alla deriva di una linea processuale operata da maldestri avvocati o sprovveduti funzionari ma a una consapevole strategia condivisa al massimo livello della Federazione internazionale. L’assunzione di corresponsabilità di questa strategia da parte di Sebastian Coe comporta due conseguenze: una correità a livello penale e un identificato bersaglio a livello politico. La vicenda Schwazer a questo punto può aver come corollario che la facente funzione di comitato etico, cioè la Athletics Integrity Unit (Aiu), esiga le dimissioni di Coe, non a caso affrettatosi a parlare al plurale coinvolgendo nel “noi” anche la Aiu, sulla carta organismo indipendente ma che le parole di Coe farebbero ritenere colluso. In questo caso diverrebbe inevitabile anche la rimozione del presidente dell’Aiu.

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Vi sono poi dei messaggi dal tono intimidatorio. Il primo rivolto a chicchessia provi a “indebolire o far annullare” la sentenza di squalifica del Tas. Non suoni strano che indebitamente il presidente di una Federazione si erga a portavoce del massimo tribunale sportivo. Le Federazioni concorrono a nominare i giudici della Corte arbitrale, la qual cosa ha fatto ribrezzo persino alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo che in una sentenza del 2019 ha detto chiaramente che la collusione tra Federazioni e arbitri toglie terzietà al giudizio del Tribunale.

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I destinatari del messaggio “in codice” di Coe però non sono tanto gli avvocati di Schwazer, che stanno tentando un disperato ricorso alla Corte federale svizzera, quanto le istituzioni del nostro Paese: la magistratura in primis, che osa mettere in discussione con 52 mesi di indagini la correttezza di un’inchiesta della Giustizia sportiva condotta in 24 ore; poi anche le istituzioni sportive, come si evidenzia nella frase “Non voglio che l’atletica leggera italiana venga contaminata”. L’espressione – specie a pochi mesi dalle Olimpiadi – suona ricattatoria. Che significa? “Caro Malagò, caro Mei statevene buonini al vostro posto se no…”? Se fosse da interpretare così, quel “se no…” a cosa potrebbe alludere? Stop agli eventi di atletica da assegnare al vostro Paese? O peggio?

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