Eppur non si muove. La grande rimonta del Pd, che supera tutti restando fermo

Da Zingaretti a Letta, sono due anni che al Nazareno parlano di inseguimenti e sorpassi sugli avversari, ma non si schiodano dal 20%. E non ci sarebbe nulla di male, se non ne traessero conferma della bontà della loro strategia

15.6.2021 Francesco Cundari linkiesta.it lettura3’

Dal 18,7 per cento delle politiche del 2018 al 22,7 delle europee del 2019, passando per tutti i precedenti, contemporanei e successivi sondaggi d’opinione, i consensi del Partito democratico non si sono praticamente mai mossi, negli ultimi tre anni, dalla forchetta caudina di quei quattro punti.

Se poi vogliamo tener conto anche di ogni minima oscillazione, come lo sprofondamento verso il 16 per cento nel momento più difficile, nel pieno della luna di miele del governo gialloverde, o la breve scampagnata verso il 24, all’indomani della sua caduta e della formazione del nuovo esecutivo, come si vede, non ci spostiamo di molto. Prendendo a riferimento la media di tutti i sondaggi elaborata da Youtrend, i due estremi corrispondono al 16,3 dell’ottobre 2018 e al 23,5 del giugno 2019. E si tratta, appunto, dei due estremi.

In pratica, come ha notato Francesco Costa nel corso della sua rassegna stampa sul Post, con comprensibile stupore – per lo stupore altrui, s’intende – sono tre anni che il Partito democratico non si schioda da lì, cioè esattamente dove lo colloca l’ultimo sondaggio Ipsos: 20,8. Una cifra, fateci caso, che è quasi esattamente a metà tra il dato delle politiche del 2018 (18,7) e quello delle europee del 2019 (22,7). E che pure ha suscitato in questi giorni una gran quantità di commenti sul sorpasso del Pd, lo scatto del Pd, il balzo del Pd in vetta alla classifica, in quanto lo stesso sondaggio collocava Fratelli d’Italia al secondo posto, con il 20,5 (che sarebbe la notizia, considerando che alle politiche del 2018 stava al 4, e alle europee del 2019 al 6) e la Lega al terzo, con il 20,1.

«Io non credo ai sondaggi, ma santo cielo erano 4 anni che un sondaggio non dava il Pd primo partito italiano!», ha esultato Enrico Letta. Comprensibilmente, essendo Enrico Letta il segretario del Partito democratico. Come del resto esultava a suo tempo il suo predecessore, Nicola Zingaretti, ogniqualvolta il crollo del Movimento 5 stelle e poi lo sgonfiamento della Lega facevano intravedere il traguardo.

La verità è che dall’inizio di questa folle legislatura i consensi del Partito democratico rappresentano forse l’unico punto fermo, l’unica inamovibile costante della politica italiana.

È il bello di tutto questo annoso dibattito sul «sorpasso» del Pd: che il Partito democratico, in realtà, non si è mai mosso. Sono gli altri a sfrecciargli accanto, in entrambe le direzioni: il Movimento 5 stelle prima, passato dal 32 per cento delle politiche al 16 degli ultimi sondaggi, e la Lega poi, dal 17 delle politiche al 34 delle europee, e ora secondo Ipsos di nuovo attorno al 20 per cento.

Non c’è da stupirsi se nel frattempo, nel mondo reale, i gazebo delle primarie democratiche vanno praticamente deserti, come è accaduto a Torino. Perché il dibattito sulla grande rimonta del Pd degli ultimi due anni è un tipico esempio di realtà virtuale, che come sappiamo, a lungo andare, può provocare effetti di alienazione molto seri. Da tempo i democratici mostrano infatti di preferire i rapporti virtuali con le immagini dei sondaggi al rapporto con la dura realtà, con tutte le sue imperfezioni.

Va detto, per essere onesti, che i segnali di dissociazione più preoccupanti risalgono ormai a qualche tempo fa, come quando arrivarono a definire Giuseppe Conte un punto di riferimento per tutti i progressisti («fortissimo», per giunta, qualunque cosa voglia dire tale aggettivo applicato a un punto di riferimento, ma della dissociazione tra significante e significato parleremo un’altra volta).

Intendiamoci, nessuno qui rimprovera Letta e il suo partito per avere legittimamente e comprensibilmente rilanciato un sondaggio che li dà primi, ci mancherebbe. Fossi io al loro posto, non parlerei d’altro, e lo infilerei anche nei commenti al risultato della nazionale o nelle conversazioni sul tempo coi vicini di pianerottolo. Siccome però sono appunto due anni che i democratici insistono a dire che i sondaggi danno ragione alla loro strategia, vale a dire alla linea dell’abbraccio con i Cinquestelle, da cui non deflettono, comincio a temere che ci credano sul serio.

Per inciso, la media dei sondaggi sopracitata, il 10 giugno 2021, dà il Partito democratico sempre terzo, al 18,8, cioè esattamente allo zero virgola uno in più delle politiche del 2018, dietro Lega e Fratelli d’Italia, rispettivamente al 21,5 e al 19,3 per cento.

In altre parole, il Partito democratico è come il passeggero del treno che guarda dal finestrino la partenza degli altri convogli, prima alla sua destra, poi alla sua sinistra, e ogni volta s’illude di essere lui a muoversi. Finché gli ultimi vagoni non spariscono all’orizzonte e il panorama si conferma quello di prima: la stazione immota, la banchina deserta, il cartello del binario 18, da cui non si è mai mosso.

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