SONDAGGI/ “Green pass promosso dal 61%, Italia spaccata su Rdc e Fornero bocciata”

Secondo i sondaggi di Ipsos, gli italiani promuovono il green pass, due terzi vogliono andare in pensione a 62-63 anni e solo il 10% difende il Rdc

22.09.2021- int. Enzo Risso ilsussidiario.net lett.7’

Il Green pass? “Secondo i sondaggi di Ipsos, il 61% degli italiani è favorevole al certificato vaccinale, ma c’è un 30% che lo avverte come misura esagerata”. Quota 100? “La maggioranza vorrebbe una riforma previdenziale stabile che consenta alle persone di andare in pensione in un’età compresa fra 62-65 anni. Non si riuscisse ad arrivare a questa soluzione, meglio prolungare Quota 100”. Reddito di cittadinanza? “Il 40% vorrebbe abolirlo del tutto e il 47% vorrebbe mantenerlo ma ritoccandolo”. Questi temi sociali, divisivi e delicati, quanto potrebbero pesare nelle prossime amministrative? “Essendo un governo di unità nazionale, il vero messaggio potrebbe arrivare dall’astensione, che oggi è pari al 39%”.

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E sul governo Draghi? “L’indice di gradimento, cioè la quota di persone che dà un voto da 6 a 10 al premier, a inizio settembre era al 60%, oggi è al 66%, sei punti percentuali in più in sole tre settimane”. Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos, fotografa così il possibile incrocio tra item sociali di primaria importanza, incidenza sui partiti e voto amministrativo alle porte. Infine, sulla corsa al Colle rivela: “Se gli italiani potessero scegliere la professione di Draghi nel prossimo futuro, più della metà gradirebbe che continuasse a stare a Palazzo Chigi”.

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Sono divisi, con una maggioranza che è favorevole: la pensa così il 61% degli italiani, il che non vuol dire che non ci sia una corposa e interessante quota di opposizione, pari al 30%. Attenzione: non significa che sono no vax, costoro avvertono il Green pass come misura esagerata che viola le libertà di chi non si vuole vaccinare.

E l’obbligo del Green pass nei luoghi di lavoro?

Su questo il paese si presenta un po’ più spaccato, soprattutto nelle sue componenti sociali.

Vale a dire?

Se poniamo il quesito “E’ giusto che chi non si vaccina sia licenziato, perdendo il posto di lavoro?”, solo il 23% degli imprenditori è d’accordo, mentre il 69% ritiene che sia una scelta personale e che il lavoratore abbia diritto a mantenere il proprio posto. Posizioni simili anche fra gli operai: le percentuali sono rispettivamente il 30% e il 60%. Invece fra i pensionati i dati si invertono: il 62% è favorevole al licenziamento contro il 32% che è contrario.

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Cosa ci dicono questi dati?

Il mondo del lavoro attuale tende a salvaguardare il diritto di chi non si vuole vaccinare, anche perché oggi la prima preoccupazione degli italiani, con il 53%, è la paura di perdere il posto di lavoro, visto che c’è ancora la coda lunga della crisi indotta dal Covid e sono in atto molti processi di ristrutturazione aziendale. Chi è oggi fuori dal mondo del lavoro ha invece una posizione più rigida. Ma tutto questo nasconde il pericolo che si innesti un conflitto fra vaccinati e non vaccinati e che questi ultimi vengano in qualche modo discriminati. E più in generale dobbiamo stare attenti che non si inneschino ulteriori elementi di tensione sociale.

A proposito di lavoro, la vicenda Gkn riporta alla ribalta il decreto anti-delocalizzazioni, che vede contrapposti imprenditori e ministro Orlando. E’ un altro scoglio sociale a cui bisogna prestare attenzione?

Il lavoro è la grande paura degli italiani, è il tema che può minare lo stato attuale di pace sociale. Siamo un’economia fragile, stiamo uscendo adesso con la sensazione che forse ci sarà un po’ di ripresa e un calo dell’occupazione potrebbe soffocare sul nascere questa fiducia: non c’è nulla di peggio che uccidere la fiducia nella ripresa e in generale per bloccare un paese. In questo clima potrebbero innescarsi pericolose esplosioni sociali.

Come mai?

Perché veniamo da 10-12 anni non certo positivi: basti pensare che nel 2003 il ceto medio rappresentava il 70% della popolazione e oggi la quota è scesa sotto il 40%. L’attuale calma sociale apparente nasconde un livello di possibile tensione sociale che è comunque molto alto.

Un altro tema molto sensibile è quello delle pensioni. Si parla di abolizione di quota 100, di ritorno alla legge Fornero… Gli italiani che dicono?

I due terzi degli italiani pensano che sia meglio andare in pensione a 62-63 anni, mentre l’idea di andarci dopo i 66 anni raccoglie il 6% di consensi. Quanto alla legge Fornero, gli italiani non ne vogliono sentir parlare: solo il 5% è favorevole a un suo ritorno.

I favorevoli sono presenti trasversalmente in tutti i partiti?

Sono ovunque minoranza, ma fra gli elettori del M5s e del Pd la quota sale intorno al 10%.

Quota 100: va mantenuta, corretta, abolita?

La maggioranza vorrebbe una riforma previdenziale stabile che consenta alle persone di andare in pensione in un’età compresa fra 62-65 anni. Non si riuscisse ad arrivare a questa soluzione, meglio prolungare Quota 100.

Anche il Reddito di cittadinanza si prepara a fare il tagliando. Cosa pensano gli italiani della sua riforma?

Gli italiani pensano che ci sia bisogno di un ammortizzatore sociale attivo, ma il 40% vorrebbe abolire del tutto il Rdc, mentre il 47% vorrebbe mantenerlo ma ritoccandolo. Un altro 10% invece è favorevole a lasciarlo così com’è.

Ci sono differenze territoriali marcate?

Sfatiamo un mito. Se guardiamo a chi dice che il Rdc va mantenuto, le differenze a livello di aree geografiche non sono così enormi: al Sud siamo al 46%, al Centro-Nord al 41%. La crisi degli ultimi anni ha colpito un po’ ovunque. Poi, è chiaro, che chi è in maggiore difficoltà vorrebbe più aiuti, ma oggi la difficoltà è diffusa. Abbiamo scoperto, anche grazie al Covid, che avere strumenti di protezione sociale fa sempre bene. Poi, certo, vanno migliorati.

Queste misure sociali di primaria importanza sono anche item delicati e divisivi. Come impattano sulla politica e sugli schieramenti?

Fra i favorevoli a mantenere il reddito di cittadinanza in gran parte sono elettori Cinquestelle e Pd. La media di chi vuole abolirlo è del 40%, ma negli elettori di centrodestra sale al 67%, mentre su una riforma previdenziale stabile sono d’accordo in tutti i segmenti elettorali. A chiedere di prolungare quota 100, infine, non sono solo gli elettori della Lega, al 36%, ma anche una buona fetta, intorno al 22-24%, di Pd e Cinquestelle.

Reddito di cittadinanza, quota 100 e green pass hanno un impatto anche sul breve, traducendosi in cambiamenti di consenso in vista delle comunali, dunque politicizzando al massimo quel voto? Oppure ne sono indipendenti?

Premessa importante: ragionare per schemi non ci fa rendere conto che i nostri schemi spesso sono leggermente disassati rispetto alla realtà. Dire che le elezioni locali mandano un messaggio al governo nazionale è tanto meno vero oggi che abbiamo un governo di unità nazionale. Se vincesse il centrosinistra a Milano, non vuol dire che il governo sta sbagliando, così come se in Calabria dovesse vincere le regionali il centrodestra o a Siena il centrosinistra nelle suppletive, quali messaggi arriverebbero a un governo che include al suo interno i tre principali partiti del paese? A mio avviso, il vero messaggio che potrebbe arrivare al governo è quello dell’astensione, del distacco, della disaffezione.

Perché?

Se avessimo un numero elevato di astenuti in questa tornata amministrativa, che è importante visto che coinvolge le nostre maggiori metropoli, ciò significherebbe che c’è un’ampia fetta di paese che ha perso la fiducia nel complesso della politica, perché è il complesso della politica oggi al governo.

Quanto pesano oggi gli astenuti?

La media nazionale è intorno al 38-39%.

Sappiamo che se andiamo a esaminare il consenso ai partiti e l’orientamento al voto, viaggiamo di solito anche su un’ampia percentuale di indecisi. Questi si stanno orientando sulla base anche dei problemi sociali legati a lavoro, pensioni e lotta alla povertà e delle risposte ad essi oppure no?

In parte sì. Ma ricordiamoci che stiamo parlando di una tornata amministrativa, in cui storicamente ad essere avvantaggiati sono i partiti di centrosinistra, che hanno un elettorato più fedele e partecipante. I Cinquestelle invece sono andati sempre un po’ male e non sempre le elezioni locali in passato hanno sorriso al centrodestra e quando è successo ciò è avvenuto sull’onda di un richiamo nazionale a temi molto sentiti come sicurezza e immigrazione. Questa tornata amministrativa dunque può dire qualcosa ai singoli partiti, ma non si può fare alcun confronto con Politiche o Europee, perché le amministrative hanno una loro dinamica. A Roma, per esempio, sono in lizza 39 liste: capisce che polverizzazione c’è? Come si possono fare confronti con i voti raccolti a livello nazionale?

Mettiamola così: Rdc, Quota 100, Green pass sono temi che possono fare da traino come a suo tempo sicurezza e immigrazione?

Lo potrebbero fare se fossimo in una fase di maggior scontro sociale, mente siamo in una fase di tensione sociale latente. Ci sono sì fasce di scontenti e arrabbiati ed è molto facile che o staranno a casa oppure daranno il loro voto a un partito differente rispetto al passato per esprimere il loro fastidio, la loro rabbia.

Tutto questo come si traduce in consenso guadagnato o perduto dai partiti?

Gli ultimi dati Ipsos vedono in testa la Lega al 20,5%, seguita da vicino dal Pd al 20%. Fratelli d’Italia è in leggero calo al 18,8%, mentre il M5s è in ripresa poco sopra il 17%. Anche Forza Italia è in risalita all’8,2%. E’ un paese che assomiglia al delta di un fiume con quattro grossi rivoli che vanno da più parti.

Quanta fiducia in Draghi e il suo governo?

L’indice di gradimento – cioè la quota di persone che dà un voto da 6 a 10 al premier – a inizio settembre era al 60%, oggi è al 66%, sei punti percentuali in più in sole tre settimane.

Un bis di Mattarella quanto gradimento riscuote?

Cosa deve fare Mattarella lo deciderà Mattarella. Posso dire che c’è una buona maggioranza dell’elettorato italiano che gradirebbe che Draghi continuasse a fare il presidente del Consiglio. Chi sarà il prossimo Capo dello Stato è nelle mani di Mattarella per la decisione su se stesso, ma nelle mani del Parlamento per la decisione di un eventuale successore.

(Marco Biscella)

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