IL RIMBALZO NON BASTA/ Senza crescita (vera) e lavoro diventeremo cinesi

La fiducia economica, dovuta al rimbalzo del Pil, che si è impossessata del governo non fa i conti con alcuni fattori strategici che sono preoccupanti

02.10.2021 - Gianluigi Da Rold ilsussidirio.net lettura5’

Non c’è dubbio che oggi in Italia si viva un momento di rinnovata fiducia. La riuscita campagna vaccinale ha restituito la volontà necessaria per ritornare al lavoro e riaprire le scuole. Vedere nello stesso tempo che i numeri relativi al prodotto interno lordo crescono, alcuni dicono più del dovuto e dello sperato, toglie anche un poco di quell’ansia vissuta durante le lunghe chiusure, il lockdown, lo stato di emergenza, la mancanza prima del vaccino e poi dei problemi connessi alla vaccinazione di massa e alla necessità di sicurezza.

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In definitiva, si può dire senza ombra di dubbio che si viva in un clima di relativa speranza dopo due anni di autentico dramma sociale dovuto anche a un’economia bloccata, oltre che a una pandemia devastante. Insomma si coglie visibilmente una voglia generale di ritornare a una vita normale e a occuparsi dei problemi sociali italiani, oltre che del nuovo contesto internazionale che si sta delineando e che inevitabilmente influenza e si intreccia con i problemi connessi all’economia globalizzata.

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Ma proprio in un momento come questo, quando si è imboccata un’uscita abbastanza sicura dal tunnel, c’è la grande necessità di essere realistici soprattutto in materia economica.

Allora, andiamo per gradi. Con tutta probabilità, confortati anche dalle stime degli osservatori internazionali, si può affermare che nel giro di due anni (2021-2022) l’Italia metta un segno positivo davanti alla crescita del Pil del 10% complessivo, guadagnando prima un quasi +6 e poi un quasi +4%. Il risultato complessivo riporterebbe l’economia italiana ai valori del 2019, prima del Covid.

La parola corrente in questo caso è quella del “rimbalzo”, anche se i grandi protagonisti della vecchia Mediobanca specificano che “l’economia non è una palla che rimbalza. Molto più semplicemente si è ritornati a produrre, vendere, lavorare e consumare. Ma, attenzione, restano sempre i vecchi problemi e nuovi se ne affacciano all’orizzonte”.

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In sostanza, la questione che oggi tutti si pongono è se anche il cosiddetto “rimbalzo” può produrre una ripresa autentica e strutturata, non a breve, ma a medio e lungo termine. E qui cominciano gli interrogativi, la stesura dei programmi, la necessità di riforme nazionali e internazionali, senza le quali, inevitabilmente, si vive in un regno di incertezza. Basta guardare soprattutto alla cronica difficoltà di trovare lavoro.

Dopo questo, bisogna prendere in considerazione e non dimenticare i muovi problemi che si affacciano. Primo esempio: perché il barile del petrolio è schizzato a 80 dollari, quasi un ricordo dello shock che lo portò fino ai 100 dollari? E allo stesso tempo ci si può domandare il perché dell’aumento del gas in Europa. Sono due aspetti che già si stanno riversando sulle bollette dell’energia dei cittadini italiani.

La spiegazione, o l’interpretazione di questo rincaro, oscilla tra la guerra commerciale messa in atto da Cina e Russia con il mondo occidentale o con gli effetti della globalizzazione per i problemi di domanda e offerta dopo un lungo periodo di inattività in vari Paesi del mondo.

In tutti i casi, si può discutere e ragionare sulle cause, ma non si può sfuggire dagli effetti che questi rincari, oltre a quelli di molte materie prime, hanno sulla vita dei cittadini.

Poi c’è una parola ritornata di moda, quasi dimenticata in questi anni, come l’inflazione, che sta al centro delle analisi di tanti economisti, dei banchieri centrali e degli operatori di Borse e mercati. Se in Europa si parla al momento di una inflazione che si aggira intorno al 3%, c’è chi sostiene che negli Stati Uniti l’inflazione stia già toccando una cifra vicina al 5%.

A questi fatti, che si possono leggere anche nitidamente in questi giorni sui listini delle Borse, occorrerà aggiungere la chiusura della Cina e di altri paesi nell’esportazione di alcuni materiali che sono diventati indispensabili con il nuovo sviluppo del lavoro tecnologico.

Proviamo pertanto a immaginare un Paese povero o sprovvisto di materie prime di fronte a una simile situazione. È chiaro che si entra in un altro tunnel, quella della precarietà economica e sociale. Di nuovo, quindi, il regno dell’incertezza.

Si può avere anche una grande disponibilità da parte delle banche centrali, con una politica monetaria basata su bassi tassi di interesse per molto tempo, ma alla fine le banche centrali saranno costrette ad alzare di nuovo i tassi di interesse, creando una situazione di grande difficoltà per molte filiere produttive.

Infine non è possibile dimenticare il sistema su cui si basa oggi l’economia. Questo sistema bisogna chiamarlo con il proprio nome: si tratta di un sistema capitalistico finanziario che, secondo alcuni, a furia di comprare, rivalutare e rivendere azioni magari della propria azienda, può creare un cortocircuito che porta non solo a una crisi dell’attuale politica monetaria, ma anche a un crollo delle Borse.

Ripetiamo che stiamo solamente ragionando sulla possibilità di sequenze che possono presentarsi e vanno affrontate con una riforma complessiva di una globalizzazione che si è rivelata sbagliata e di un Paese, come l’Italia, dove le riforme non sono mai state fatte da trent’anni a questa parte, arrivando addirittura nel 2006 a favorire le dislocazioni aziendali.

Sarebbe veramente paradossale che un sistema, nato dalla caduta del Muro di Berlino con il crollo del comunismo, ripetesse l’analisi leninista dell’imperialismo, cioè di quel potere che non riesce a un certo punto a controllare quasi nulla. L’alternativa ovviamente non è neppure quella cinese, cioè quella di un impero attualmente rosso, ma che nella sostanza è socialismo di mercato o capitalismo di Stato, con una ripetizione millenaria del credo economico di Deng Xiaoping: “Non è importante che il gatto sia rosso o nero. L’importante è che mangi i topi”. Alla faccia della democrazia, ovviamente.

In definitiva, lasciando alla Cina il suo percorso storico, l’Occidente non può ripetere dopo il cosiddetto “rimbalzo” il suo schema che è fallito nel 2008. In Italia, anche Mario Draghi dovrà rendersi conto che, dopo il risanamento con il Pnrr, bisognerà ritornare a un’economia che non potrà basarsi principalmente sulla finanza e non potrà seguire solo l’andamento del mercato. Perché il mercato, come diceva il suo maestro Federico Caffè, non va a posto da solo, bisogna ogni tanto aggiustarlo e guidarlo. Per favore, dopo il Covid, cerchiamo qualche certezza e lasciamoci alle spalle il regno dell’incertezza che ancora adesso stiamo vivendo.

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