Popolo buono, Parlamento cattivo Il girotondismo di Letta e il ritorno dell’antipolitica

il Partito democratico è il bene, tutti gli altri il male. Questo atteggiamento populista sul ddl Zan rischia di assecondare l’umore generale di un Paese sempre più lontano dalle istituzioni

Mario Lavia 29.10.2021 linkiesta.it lettura4’

La logica binaria è dominante nei ragionamenti del segretario: il Partito democratico è il bene, tutti gli altri il male. Questo atteggiamento populista sul ddl Zan rischia di assecondare l’umore generale di un Paese sempre più lontano dalle istituzioni

La scoppola sulla legge Zan almeno un pregio ce l’ha: mostra plasticamente che questo è un Parlamento vecchio («Così si leggerà tra dieci anni nei libri di storia») a fronte di una società che è molto più avanti. Non è che sia contento, Enrico Letta, ma insomma adesso è più chiaro dove stia il Partito democratico – con i diritti – e dove la destra – con la Polonia e l’Ungheria – una destra a cui si sono accodati altri, Italia viva e Forza Italia.

Nella versione agrodolce di Letta tutto è più limpido, adesso risulta evidente che si è trattato di «una trappola ordita da tempo». L’obiezione verrebbe automatica – ci siete cascati – ma ormai la vulgata è passata, noi buoni gli altri cattivi, il resto sono chiacchiere da Transatlantico, roba da addetti ai lavori: il popolo è con noi.

Qual è dunque la morale della favola, secondo il leader del Pd? Qual è la lezione di fondo, diciamo, al di là della politica stretta, cioè la (definitiva?) rottura con Italia viva? Ascoltandolo ieri a Radio Immagina (la web radio del Pd), dove per il segretario erano giunte tantissime richieste di rompere con Matteo Renzi, è sembrato di cogliere due discorsi in uno.

Il primo, ovvio, è quello intriso di amarezza per come sono andate le cose, per il tradimento di «quelli che hanno seguito Matteo Salvini e Giorgia Meloni» per fare «giochini politici sulla pelle delle persone», cioè Renzi con cui non c’è più fiducia e Forza Italia che ha preferito Viktor Orbán a Ursula Von der Leyen, amarezza perché «i numeri ci sarebbero dovuti essere» ma poi qualcuno ha disertato dietro lo scudo del voto segreto.

Però poi, come dicevamo all’inizio, c’è un’altra faccia della medaglia, come se il voto sulla Zan avesse portato un raggio di sole a squarciare la nebbia politica e regalato agli elettori distratti un vistoso elemento chiarificatore, chi sta di qua e chi sta di là, secondo la logica binaria dominante nei ragionamenti del segretario: ed è un discorso che però finisce per ammantare il Parlamento in carica di un’aura di arretratezza culturale a forti tinte di immoralità, persino, per cui la logica conseguenza democratica dovrebbe essere quella della richiesta di elezioni immediate che Letta ovviamente non può avanzare e mai avanzerà finché c’è Mario Draghi a Palazzo Chigi.

Di qui il contrasto tra un oggi morto e un domani che stenta a nascere nel quale il Pd non sembra mai azzeccare i tempi della lotta. Ma il racconto lettiano non solo non contraddice ma rischia di assecondare l’umore generale di un Paese sempre più lontano dalle istituzioni e dalla politica rischiando così di tagliare l’erba su cui egli stesso cammina e di portare legna da ardere su quel falò dell’antipolitica che può bruciare anche il Partito democratico che non si salverebbe neppure se cavalcasse l’onda antiparlamentare.

E d’altra parte non è una posizione facile quella di sparare contro questo Parlamento “ungherese” dove si fanno «i giochini» mentre proprio in quello stesso Parlamento si è voluta issare la bandiera della legge Zan malgrado tutte le risapute difficoltà, anche a rischio, come si è verificato, di uno smacco parlamentare e dove peraltro si ha intenzione di tornare con una nuova Zan sotto forma di legge di iniziativa popolare (ma perché non dovrebbe essere bocciata anche quella?) e poi sullo Ius soli; e sparare su tutti mentre si sta al governo insieme con Italia viva, Forza Italia e persino con la Lega, con i traditori e gli oscurantisti.

Enrico Letta pensa di sfuggire alle contraddizioni dell’oggi «guardando avanti» – è una locuzione che ripete spesso – contando cioè sull’assioma che la società sia più avanti del Parlamento riproponendo implicitamente che esso non sia lo specchio del Paese e dunque predisponendosi chiaramente allo scioglimento di un nodo che verrà tagliato alle elezioni del 2023: il che è un modo psicologico per preparare la piattaforma culturale e d’immagine della campagna elettorale del Pd, quella del nuovo contro il vecchio, cadendo nel rischio che si annida in questo schema di contrapporre il popolo buono alla politica cattiva, nella qual cosa sta il germe del girotondismo dei primi anni del secolo sbracato poi nel populismo grillino degli anni Dieci perlomeno nei suoi aspetti più a-democratici.

Ed esattamente come nel populismo scattano in queste ore nel segretario del Pd gli allarmi contro i complotti, le trame, i giochini, i tradimenti – i buoni contro i cattivi – e dà per scontato, nel caso specifico, che i renziani abbiano tutti e 12 votato per la tagliola e pazienza se degli altri voti mancanti il segretario non parla, né si pone il problema che il suo Nuovo Ulivo è già secco, tanto in ogni caso era una trappola ma almeno ora tutti sanno che «il Pd sta dall’altra parte»: ecco, questo tratto immacolato portiamolo a petto nudo nelle piazze, anzi, nelle Agorà ove il popolo buono propone con un clic e sceglie con un like.

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