Il socialismo è una cosa seria, non una tattichetta per Letta e i 5S

Il concetto di famiglia politica è tra i più maledettamente seri della storiografia e della scienza politica. Esso rinvia alle grandi correnti ideali che nel ‘900 hanno strutturato le principali culture politiche operanti nella vecchia Europa

Michele Prospero — 13.11. 2021 ilriformista.it

Il concetto di famiglia politica è tra i più maledettamente seri della storiografia e della scienza politica. Esso rinvia alle grandi correnti ideali che nel ‘900 hanno strutturato le principali culture politiche operanti nella vecchia Europa. Quando si parla di una confluenza nel socialismo europeo del non-partito di Grillo si scomoda tutto il peso di una storia, di una cultura, di una organizzazione.

Non sembra che a questo stesso livello, che è molto complesso sotto il profilo teorico e assai arduo da penetrare anche sotto il versante storico, Enrico Letta abbia affrontato il problema. La questione della ammissione del M5S nella famiglia politica dei socialisti rimanda in lui a delle spicciole preoccupazioni relative ai posti e quindi a mosse tattiche di angusto respiro. Per avere la percezione della tematica teorico-politica che invece pare coinvolta dalla sua iniziativa, Letta avrebbe dovuto tenere presente l’autobiografia di Napolitano dal titolo “Dal Pci al socialismo europeo”.

Si tratta di un libro che presenta un ragionamento articolato, con una riflessione critica a tutto raggio che si conclude con una lettura autocritica sulla ricucitura delle divisioni del secolo breve. Le pagine di Napolitano coinvolgono esperienze, idealità, comportamenti, vicende statuali che vengono ripensate in vista di una ricomposizione unitaria del movimento socialista in occidente. Neppure un briciolo della indispensabile copertura analitica è presente nelle immagini che Letta utilizza a coronamento di una impresa che, per come è stata impostata, appare temeraria e priva di ogni serio ancoraggio storico-teorico.

Dato per spacciato dalle ondate aggressive dei populismi, che pure hanno intaccato le posizioni della sinistra riformista in Grecia o in Francia, il socialismo si è leccato in fretta le ferite e, dai paesi nordici alla Spagna, dal Portogallo alla Germania, la tradizione rossa che differenzia ancora le ideologie della veccia Europa dal progressismo dell’America ha mostrato i segni di una rinascita. Il socialismo è uscito dalle difficoltà tornando ad essere una vitale tendenza ideologica della politica europea.

Con la curiosità che si deve al M5S mentre pare prendere le distanze dal “populismo Maduro”, dal grido di rivolta a fianco dei Gilet gialli, dalle complicità con il sovranismo euroscettico di Savona, dalle contestazioni delle procedure e degli attori della democrazia rappresentativa la sensazione è che si tratti di mutamenti di rotta così celeri e improvvisi che non possono che essere scrutati come adattamenti camaleontici, non supportati da una sufficiente elaborazione culturale.

Massimo D’Alema, in una intervista recente, ha sostenuto che non esiste un partito senza una ideologia. È vero. Ma se l’ideologia è una cosa che va presa sul serio, dovrebbe scoppiare la rivolta contro la decisione di Letta di accogliere nella famiglia del socialismo un movimento ancora privo di programma, organizzazione, leadership contendibile, visione politica coerente.

Il fatto è che Letta non ha gli strumenti per esigere dal M5S una rigorosa evoluzione ideale e programmatica. Anche lui interpreta la politica come pura arte del mimetismo, emissione continua di frasi in 140 caratteri sprovviste di pensiero e di tempo. In un tweet del 13 dicembre del 2013 il Presidente del Consiglio esultava in forme davvero smodate: “L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è legge. Manteniamo la promessa e ora tutto il potere ai cittadini”.

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