I fogli di Fico. Impedire la riconoscibilità del voto e altri piccoli accorgimenti a tutela del Quirinale (e di tutti noi)

L’elezione di Berlusconi a presidente della Repubblica grazie ai voti grillini sarebbe un epilogo certamente istruttivo, ma questa non è una ragione sufficiente per non cercare di evitarlo

Francesco Cundari, 17.1.2022, linkiesta.it lett3’

Come ormai hanno capito anche i sassi, se Silvio Berlusconi ha delle reali possibilità di diventare presidente della Repubblica è solo grazie alla presenza di centinaia di parlamentari eletti con il Movimento 5 stelle. Tanto quelli rimasti nel gruppo grillino quanto, a maggior ragione, quelli nel frattempo migrati nel gruppo misto, e in ciascuno degli altri partiti, compresa Forza Italia (unica curiosa eccezione, almeno fino all’ultimo censimento, le minoranze linguistiche).

Se fossero proprio loro, eletti in nome dell’antiberlusconismo duro e puro, contro i compromessi e gli inciuci della vecchia sinistra, a eleggere Berlusconi al Quirinale, si potrebbe ingenuamente pensare che la tragedia servirebbe almeno di lezione a qualcuno (per esempio, su come votare), ma sarebbe una pia illusione. Anzi, si può scommettere che dal giorno dopo tutta l’eletta schiera di coloro che fino a oggi hanno campato sull’antiberlusconismo radicale, gonfiando le vele dei populisti, conoscerebbe una seconda giovinezza, e forse lo stesso Movimento 5 stelle potrebbe guadagnarsi così un’insperata e immeritata seconda vita, essendo altrimenti evidente la conclusione della sua traiettoria verso lo zero per cento alle prossime politiche.

 

Un amico ha osservato qualche tempo fa che l’elezione al Quirinale di Berlusconi grazie agli eletti grillini sarebbe la degna conclusione della Seconda Repubblica, e mi pare indiscutibile. Se ci pensate, c’è tutto: l’intramontabile egemonia del Cavaliere, garantita proprio da coloro che da sempre si spacciano per i suoi più acerrimi nemici. Il problema principale è che l’elezione di Berlusconi non sarebbe la conclusione di niente. Al contrario, sarebbe l’ennesima replica dello stesso spettacolo. Con la differenza che stavolta si partirebbe con il debito pubblico già oltre il 150 per cento, e dal bel mezzo di una pandemia.

Per di più, da giorni leggiamo sui giornali, come se fosse normale, che i parlamentari di centrodestra, sulla scheda, dovranno scrivere il nome di Berlusconi in diversi modi (chi «Berlusconi Silvio», chi «S. Berlusconi», e così via), in maniera tale da rendere riconoscibili i voti, almeno per gruppi. Il fatto che episodi del genere si siano già verificati, nel segreto del catafalco, nulla toglie alla spudoratezza e alla gravità di un simile tentativo, compiuto per dir così en plein air, per aggirare il vincolo costituzionale alla segretezza del voto, minando la libertà dei grandi elettori e la stessa legittimità dell’elezione. Per non parlare delle allucinanti dichiarazioni – persino di attuali ministre – sulla possibilità di fotografare la scheda per inviare al leader la prova della propria fedeltà.

L’idea che il supremo arbitro e garante delle istituzioni sia eletto con una così palese violazione delle regole fissate dalla Costituzione dovrebbe bastare a far capire a tutti a che punto siamo arrivati (non fosse sufficiente l’idea di un uomo con la storia giudiziaria di Berlusconi a capo del Consiglio superiore della magistratura). Certo, la politica non è un pranzo di gala, ma l’elezione del capo dello Stato non può nemmeno diventare una cena elegante.

C’è da augurarsi che con un soprassalto di lucidità, quello che non ha mostrato finora rispetto alla questione dell’organizzazione del voto in tempi di Covid, il presidente della Camera, Roberto Fico, stabilisca perlomeno che per votare si debba scrivere nome e cognome del candidato, in quest’ordine, e che così ad ogni modo vada letta la scheda al momento dello spoglio. Quanto ai telefonini, si chieda di lasciarli all’esterno del catafalco prima di entrare (è ovvio che i più convinti potranno facilmente aggirare il divieto: l’importante è dare modo agli altri di sottrarsi al ricatto).

So che non si tratta di idee particolarmente originali. Il problema è stato già segnalato da più parti. Il guaio è che, almeno finora, il presidente Fico non sembra essersene dato per inteso. Ieri a “Mezz’ora in più”, su RaiTre, ha concluso la sua intervista sul Quirinale dicendo testualmente: «Ecco, io sento che un presidente dev’essere ancorato a questa nostra grande Repubblica che a volte la bistrattiamo troppo rispetto a quello che poi viviamo ogni giorno». Ovviamente, è un cinquestelle anche lui. Che il cielo ce la mandi buona.

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