1-Perché Salvini vince solo con Draghi

2-Con Draghi al Quirinale, il governo può andare avanti. Il resto è goliardia sfascista. Paradosso è credere che uno possa subire un veto e poi restarsene lì, impallinato, a Palazzo Chigi

28.1.2022 Cerasa e Ferrara ilfoglio.it lett2’

1-Tentazioni pericolose, mosse avventate, nostalgie gialloverdi. Il leader della Lega ha creato le condizioni giuste per perdere con ogni risultato. Indagine su un leader da zeru tituli, ostaggio delle sue contraddizioni

Il capolavoro tattico di Matteo Salvini, se così si può dire, è quello di essere arrivato all’appuntamento forse più importante della sua carriera politica – la sua prima volta cioè da kingmaker nell’elezione di un capo dello stato, un capo dello stato che salvo sorprese attraverserà tre legislature – nella condizione di chi sa bene che, quale che sia l’esito della quinta e forse decisiva votazione, ci potrà essere un solo risultato capace di consegnare una vittoria piena all’attuale federatore del centrodestra: il sì a Mario Draghi. Le trattative intavolate negli ultimi giorni dal leader della Lega, trattative che ieri prima hanno puntato a sabotare la candidatura di Pier Ferdinando Casini e che poi hanno puntato a cercare disperatamente una candidatura tecnica diversa da quella di Draghi, hanno mostrato con la severità di uno stress test una dinamica ormai strutturale della leadership salviniana: l’incapacità, da parte di Salvini, di trovare un modo per non essere costantemente vittima delle sue stesse contraddizioni CLAUDIO CERASA 28 GEN 2022

2- L'unico modo per uscire dallo stallo alla messicana è Draghi

    

Con Draghi al Quirinale, il governo può andare avanti. Il resto è goliardia sfascista. Paradosso è credere che uno possa subire un veto e poi restarsene lì, impallinato, a Palazzo Chigi

Che se ne rendano conto o no, alcuni capi elettorali in Parlamento stanno incorrendo nel paradosso dei paradossi. Questo. Finché reggeva la strana pretesa di candidare un nome del centrodestra, avanzando l’argomento della “prima volta da anni” e di una “maggioranza relativa con onori e oneri di candidatura”, vabbè. Sono argomenti fallaci e prepolitici, forieri di quello che Minuz ha chiamato con formula perfetta lo “stallo alla messicana”, ma a loro modo lineari. Dal momento in cui si passa, come è avvenuto, al metodo della scelta paritaria, di conclave come si è detto, di un nome super partes, ecco che emerge un potenziale veto all’elezione di Draghi, da nessuno (e non a caso) rivendicato per tale. Qui l’argomento fallace è semmai che Draghi deve continuare a guidare l’esecutivo, è troppo importante per fare il capo dello stato. Bah. Paradosso dei paradossi, appunto, è credere che uno possa subire un veto, essendo il campione della maggioranza di unità che sceglie il successore di Mattarella, e poi restarsene lì, a Palazzo Chigi, impallinato senza alcuna plausibile ragione politica. GIULIANO FERRARA 28 GEN 2022

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