Kansas City Blues. Così l’operazione Mattarella ha salvato Draghi dal burrone della Maranella

Soluzione di emergenza per una situazione di emergenza. Ma per la prossima volta sarà bene avere steso una rete di protezione più solida e per dir così strutturale. È la sfida della ricostruzione dei partiti e di un sistema politico degno di questo nome, anzitutto attraverso una legge elettorale proporzionale

Francesco Cundari 29.1.2022 linkiesta.it lett.3’

All’ottavo scrutinio e al sesto giorno di votazioni, con la rielezione di Sergio Mattarella, possiamo dire che il Parlamento ha salvato l’Italia dalla prospettiva di una crisi di governo che ci avrebbe portati alle elezioni nel momento peggiore, nella migliore delle ipotesi: e cioè nel caso in cui fosse stato Mario Draghi ad andare effettivamente al Quirinale, e non il candidato della destra populista e dei suoi alleati (nel qual caso le elezioni anticipate, con la sorte del Pnrr e delle connesse riforme, non sarebbe stata nemmeno la prima delle nostre preoccupazioni).

La guerra dei sei giorni contro l’offensiva populista si è conclusa dunque con una netta vittoria del Parlamento. Del Parlamento, che ha imposto la sua volontà agli stessi leader di partito, e anche delle relative correnti, che li hanno presi per mano, e in qualche caso, quando necessario, anche a ceffoni (metaforicamente, s’intende, almeno che io sappia).

La rielezione di Mattarella non è dunque, come pure in tanti ripetono, una sconfitta della politica. Semmai una sconfitta della cattiva politica. Una sconfitta che si è consumata in Parlamento, dove evidentemente c’è chi ha fatto una politica migliore, e ha vinto. Ed è anche una sconfitta della cattiva analisi politica, che fino all’ultimo ha continuato ad alimentare una narrazione populista e anti-istituzionale (e spesso ancora continua, con l’atteggiamento di chi buca il pallone dopo aver perso la partita).

Ci sarebbe poi la tesi di Enrico Letta secondo cui «tutti i passaggi politici hanno dimostrato, nel momento più difficile in assoluto, che il campo largo esiste grazie al nostro lavoro», ma qui siamo ormai oltre i limiti della post-verità. Chiunque abbia seguito anche solo le pubbliche dichiarazioni di ieri sera pronunciate dai leader di Pd e M5s davanti alle telecamere ha capito benissimo come sono andate le cose (anche senza bisogno di leggere i retroscena su come Letta si fosse fatto intortare proprio dall’altro coltivatore del campo largo, Giuseppe Conte, in asse con Salvini, sulla candidatura di Elisabetta Belloni).

Il problema è che tanti cattivi politici, pessimi analisti e peggiori consiglieri, ancora e sempre innamorati di quel modello presidenzialista americano che in Italia, negli ultimi trent’anni, ha prodotto soltanto diverse varianti di populismo sudamericano, per poco non spingevano nel burrone lo stesso Draghi. Un po’ come in quella celebre scena in cui Alberto Sordi, in «Un americano a Roma», tenta di dare indicazioni a una coppia di americani veri, nel suo inglese improbabile: «Attention, non annà a destra perché c’è er burone de la Maranella, alright? Alright!». Quelli capiscono di dover svoltare a destra, «right», e finiscono, per l’appunto, nel burrone della Maranella.

Per fortuna, questa volta, a salvare presidente del Consiglio, governo e legislatura dal burrone della Maranella, c’era l’operazione Mattarella. Soluzione di emergenza per una situazione di emergenza. Ma per la prossima volta sarà bene avere portato a termine lavori di consolidamento, per dir così, strutturali (così, magari, da poterci anche permettere di togliere la rete della rieleggibilità del capo dello stato). È la sfida della ricostruzione di un sistema politico degno di questo nome, anzitutto attraverso una legge elettorale proporzionale che restituisca ai partiti e al parlamento la centralità, l’autonomia e la dignità che meritano, e che in parte, grazie al cielo, hanno cominciato a riprendersi da soli. Evviva.

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