Le parole di Ignazio Visco sul salario minimo sono riuscite a ricordare che non esiste un’unità sindacale nel nostro Paese

Le parole di Ignazio Visco sul salario minimo sono riuscite a ricordare che non esiste un’unità sindacale nel nostro Paese

04.06.2023 - Gerardo Larghi ilsussidiario.net lettura4’

Ah il granito! Appoggiare le mani su quella superficie così liscia, priva di quei “germogli” che rendono la vita tanto facile all’arrampicatore! Ma vuoi mettere di doverti fidare dei tuoi piedi, di dover correre su per la parete poggiando solo sulle dita delle appendici inferiori? Eh sì: viva il granito. Oh poi dipende, perché c’è granito e granito. Ad esempio è granitica la via Cassin sul Badile, è stato granitico Macron con le contestazioni di piazza. Poi ci sono i graniti fragili, quelli innaturali, diciamo le rocce (e le decisioni) diversamente granitiche.

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Prendiamo, ad esempio, la granitica alleanza che non più tardi di qualche settimana fa Maurizio Landini aveva annunciato tra i sindacati: beh, non c’è mica stato bisogno di un terremoto, dello scioglimento del permafrozen, del sommovimento di qualche placca tettonica per mandarla in pezzi. È bastato entrare nel primo argomento di discussione: non in un tema di dettaglio certo, ma nemmeno nel principalissimo tra tutti. Visco butta lì la questione del salario minimo, il Governo giusto per non sembrare proprio sempre impreparato a tutto si dice d’accordo, la Cgil si accoda e il re è nudo.

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Ora dalla vicenda direi che si possono trarre alcune considerazioni generali e altre di dettaglio. Cominciamo da quelle generali. Quando si fanno accordi, così ci hanno insegnato i nostri vecchi maestri di sindacalismo, servono due cose: sapere dove si vuole arrivare ed essere disposti a lasciare che anche gli altri, il padrone come si diceva in illo tempore, ottengano una qualche vittoria. Il senno, il buon senso di don Lisander, la medietas degli antichi! Ah quanto manca quell’equilibrio in questo mondo di esagitati che se non urlano non pensano di aver ragione. Beh, torniamo a noi: davvero il reggiano d’Italia pensava che bastasse il suo desiderio di (opposizione) politica per costruire una parete di granito? Purtroppo (o per fortuna, per dirla alla Gaber) per lui, no. Servono come detto anzitutto idee e disponibilità a scendere a patti.

La Cisl sono circa 60 anni che ripete la sua opposizione a una determinazione per legge dei salari: una contrarietà che funzionava allora quando i rider neanche si sapeva cosa fossero e sulle biciclette (e sul loro essere l’unico mezzo di locomozione popolare) ci si facevano film di successo. Figuratevi adesso: salario per legge significa, dalle parti di via Po, consegnare nelle mani del Parlamento uno dei principali temi di contrattazione.

Ma c’è poi un secondo aspetto che ci colpisce della vicenda. E cioè questa corrispondenza di amorosi sensi che all’improvviso scoppia tra un Governo di destra-centro e il sindacato storicamente più di sinistra che ci sia.

Mumble, mumble direbbero a Topolinia: che ci sia sotto qualcosa? Noi ci vediamo soprattutto delle debolezze reciproche che trovano un momentaneo interesse a sostenersi. Un po’ come tra Giorgia e Giuseppi: tu mi fai un’opposizione che non mi crea problemi e io ti riservo qualche strapuntino in Rai. Qui la questione è ancor più evidente. Da un lato c’è un sindacato che sta costruendo un percorso politico, che sta cercando una via a sinistra per ricollocarsi, non avendo, geneticamente, nel suo DNA il concetto di corpo sociale autonomo. E come tutti gli organismi trovandosi davanti a un cambiamento deve decidere cosa fare: per ora la scelta è caduta sul modello dinosauro. Può darsi che a breve invece si diriga verso il prototipo “rondine del Nebraska” e accetti il fatto che è solo trasformandosi che si sopravvive.

Evolvere si deve, anche quando di fronte si ha un’altra debolezza come quella del Governo: il quale, buttando lì qualche osso ai contestatori, pensa di poter sopravvivere. Purtroppo non è così: chi in passato si è comportato così lo ha fatto o perché democristianamente era convinto dell’interclassismo e che tutti avessero non solo diritto a una parte di bene comune ma anche a una parte di ragione, oppure per scelta tattica. In ogni caso nessuna concessione ha mai spento del tutto una contestazione che non sia limitata ad argomenti marginali. Basti riflettere su quanto avvenuto di recente con alcune iniziative che i giovani chiamerebbero cool, di impatto mediatico. Erano (sono) delle emerite pisquanate, ma il granitico Governo si è piegato davanti a un gruppetto di giovani studenti universitari fermamente contrari a farsi un’oretta di treno ogni giorno per andare a lezione.

Basta che queste minoranze chiassose (a Milano 9 tende ma 20 telecamere) che rivendicano il diritto a “una socialità a ridosso dell’ateneo” convochino una protesta e subito ci si muove, li si incontra, si proclama di aver risolto il problema. Tutto bene? Ma va: appena fuori di lì le stesse minoranze chiassose riconvocano le suddette telecamere per annunciare che le misure non bastano mica. E fanno bene: se mi hai dato ragione una volta e siccome ti percepisco come il mio nemico, è evidente che lo hai fatto perché sei debole, mica perché pensi a me e ritieni che io abbia qualche ragione!

È questa la debolezza strutturale della politica: refrattaria alla mediazione come condivisione del percorso ma disposta a cedere di fronte al baccano mediatico. Così mentre non si riesce a trovare una quadra su temi decisivi (concertazione, compartecipazione al governo delle imprese, distribuzione degli utili, ma anche inflazione galoppante, cantieri in enorme ritardo, mancanza di una politica industriale, mercato del lavoro che si regge sui cinquantenni) ci si sostiene a vicenda nella cronaca quotidiana. Il Governo ritiene di poter prendere in mano un tema importante come quello del salario degli italiani, la Cgil spera di poter (eh, chi vive sperando ….) un domani tornare al Governo. Intanto gli italiani aspettano, pazienti e silenti.

Ma proviamo a immaginare cosa succederà quando, di qui a poco, posto che l’Italia avrà di certo un problema di sostenibilità del suo sistema pensionistico (siamo un’etnia come Lollobrigida, quello meno bello, dixit sempre più vecchia e sempre meno giovani lavorano), dovesse mai scoppiare un tumulto alla francese? I manifestanti verrebbero nominati ministri? La concertazione si fa con chi vuole discutere e suggerisce strade percorribili.

E poi c’è un tema più particolare, meno decisivo che emerge da questa vicenda. La mettiamo così, sotto forma di domanda: davvero qualcuno pensa che gli opposti populismi possano trovare la quadra su questioni complesse come il rapporto tra produzione e distribuzione delle ricchezze? A noi l’idea di mettere in mano a Musumeci un argomento come questo fa venire i brividi. Però si può sempre sperare in Salvini…

Infine, un secondo argomento minimo, diciamo soprattutto cislino: forse è arrivato il momento di chiederci, lo diciamo da aficionados sindacali, quanti danni abbia prodotto l’antica cantilena dell’unità sindacale. Forse, diciamo forse, sarebbe il momento di riprendere antichi percorsi concertativi con tutte le sigle autenticamente sindacali e non solo con quelle con cui storicamente ci si è rapportati. In fondo né la calviniana metà sinistra del visconte dimezzato (né quella destra) da sole furono in grado di combinare nulla più che disastri!

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