Risvegli amari Il Pd pensava di poter cavalcare la tigre populista. Si sbagliava

Il problema del centrosinistra non è l’eventuale alleanza elettorale con il Movimento 5 stelle. Il problema è aver fatto di questa necessità l’alfa e l’omega della propria strategia e della propria identità,

12.4.2024 scrive Francesco Cundari nella newsletterlnkiesta.it lettura3’

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Spesso i titoli di giornale tradiscono o perlomeno forzano il significato delle dichiarazioni. Non è questo il caso dell’intervista al Fatto quotidiano del presidente della Puglia, Michele Emiliano, all’indomani della clamorosa decisione di Giuseppe Conte di ritirare il suo partito dalla giunta, portando al massimo la tensione con il Pd. Titolo: «Spero che i Cinquestelle rientrino: faremo ciò che ci chiedono». Più che una presa di posizione politica, una dichiarazione di resa. Nell’articolo, infatti, il presidente della Puglia si dice certo che la parentesi si chiuderà velocemente, «una volta che avremo realizzato ciò che ci chiedono», anche perché «con Conte, Schlein e Fratoianni siamo concordi nel non voler più tollerare alcun tipo di attività che non sia perfettamente conforme ai principi di imparzialità e legalità». Proprio così, testualmente. Sono concordi nel «non voler più tollerare». Dunque prima tolleravano? Onestamente, qualche sospettuccio poteva venire, anche solo a leggere le precedenti interviste di Emiliano, fino a ieri ben più assertive. Appena cinque giorni fa, al Corriere della sera che gli chiedeva conto dell’antica tendenza pugliese, sin dai tempi di Nichi Vendola, a «inglobare gli avversari con incarichi e prebende», parlando di trasformismo, Emiliano rispondeva orgoglioso: «Macché. Il nostro progetto è talmente accattivante che molti avversari vi aderiscono per passione politica». Evidentemente negli ultimi tempi la passione è un po’ scemata anche negli alleati. Ma forse meno di quel che potrebbe apparire.

Che cosa significa infatti uscire dalla giunta e contemporaneamente annunciare di voler scrivere con il suo presidente un patto per la moralità? La verità è che il nemico di Conte non è Emiliano, ma il Pd. Come scrive Mario Lavia su Linkiesta, «Michele e Giuseppe non sono due facce della stessa medaglia, sono la stessa faccia, l’incarnazione di un certo trasformismo che da secoli alligna in alcune, o parecchie, zone del Sud e di un populismo in maniche di camicia o con la pochette, un po’ descamisado un po’ azzimato».

Il problema del Pd e del centrosinistra non è l’eventuale alleanza elettorale con il Movimento 5 stelle. Il problema è aver fatto di questa possibile necessità l’alfa e l’omega della propria strategia e persino della propria identità, consegnandosi mani e piedi al leader populista (e a tutti i populisti autoctoni, a cominciare da Emiliano). È questo il peccato originale, commesso e reiterato da tutti i leader del Pd dal 2019 in avanti, da quando cioè Nicola Zingaretti elevò l’Avvocato del popolo a punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti (e poi, che è peggio, anche a unico unico candidato a Palazzo Chigi dei democratici). Ma forse il caso più istruttivo è quello di Enrico Letta, che dopo avere buttato al vento l’occasione di correggere la linea, all’indomani delle clamorose dimissioni di Zingaretti, alla fine l’alleanza con i Cinquestelle non l’ha fatta nemmeno. Il che è ovviamente un’aggravante, come lo sarebbe buttare nella spazzatura la refurtiva dopo aver compiuto una rapina: non ci guadagni niente e dimostri solo che non lo fai per un’estrema necessità, ma proprio per il gusto di farlo. Insomma, per quanto il comportamento di Conte possa apparire spregiudicato, è difficile dargli tutti i torti: sta semplicemente reclamando quella leadership che i democratici sono stati i primi a offrirgli, e ovviamente lo fa con i metodi che i Cinquestelle hanno sempre usato nei confronti del Pd, almeno dai tempi di Bibbiano, su cui peraltro la corposa ala grillofona del partito non ha mai trovato nulla da ridire.

Non si vede dunque perché proprio adesso, in vista delle elezioni europee in cui si misureranno i rapporti di forza, Conte dovrebbe smettere di infierire. Illuminante al riguardo il lapsus, chissà se dovuto all’intervistato o all’intervistatrice, contenuto nell’intervista di Andrea Orlando a Repubblica, che comincia così: «Giuseppe Conte sta provando a lucrare rispetto a una difficoltà che in questo momento affronta il Pd», ma stia attento: «A cavalcare la tigre ci si rimane sopra». In effetti Conte non sembra avere alcuna intenzione di scendere.

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