Italia, Non consegnarla a chi non ha né arte né partito

Finanziamento pubblico ai partiti per vincere l’astensionismo e archiviare dilettanti della società civile e professionisti bari

Luigi Crespi — 20 Aprile 2024 ilriformista.it lettura3’

Quando sento parlare di società civile mi scatta subito una forma di rifiuto, ne respingo la semplificazione e il potere miracoloso che le viene attribuito. In politica c’è stata una fase anche nel centrodestra in cui nessuna offerta elettorale poteva escludere la parola “società civile” intendendo persone o gruppi che non sono né collegate né gestite e che operano fuori dal contesto istituzionale, andando ben oltre la definizione classica che vede la rappresentazione della società civile in parti sociali (sindacati e gruppi di datori di lavoro), organizzazioni non governative (per esempio di tutela dell’ambiente e dei consumatori) e le organizzazioni di base (come i giovani e le associazioni delle famiglie).

Berlusconi nella versione del 1994 – quella della “discesa in campo” – si ammantò nella sua offerta primordiale di società civile che doveva accorrere non organizzata, perché era il leader di Forza Italia stesso, in ultima istanza, la sua incarnazione, la sua espressione, la sua essenza e solo a Don Giussani fu consentito di offrire il suo contributo a partire da un gruppo esterno organizzato e indipendente. Berlusconi era consapevole che non poteva chiedere voti a chi lasciava la trincea del lavoro per seguirlo poiché a quelli ci ha sempre pensato lui sia da vivo che da morto. Per Berlusconi la società civile nel ‘94 era il tassello di una rappresentazione che vedeva il taumaturgo al centro, il protagonista assoluto, la guida. Ci è voluto poco, molto poco, che i pezzi di società civile venissero soppiantati da politici di professione e purtroppo questo non ha sempre coinciso con profili autorevoli per idealità e onestà.

Capi bastone, signori delle tessere e cacicchi appartengono alla categoria dei professionisti della politica, una sorta di trafficanti di voti che hanno inquinato la politica e le istituzioni e quindi la vita sociale di tutti noi.

Detto questo, siamo condannati a scegliere se dare in mano il Paese a dei dilettanti appartenenti alla società civile oppure a professionisti cinici e bari.

Ed è proprio su questo paradigma che si fonda l’astensionismo.

Il fatto che nelle ultime elezioni regionali non si sia recata alle urne una minoranza degli aventi diritto al voto è esemplificativo dello stato d’animo degli italiani che hanno perso la gioia dell’impegno, la passione che passa attraverso i propri ideali, quello che fa della vita politica un percorso. I latini parlavano di Cursus Honorum. Quel percorso, insomma, che dovrebbe sfociare in una visione del Paese, in capacità di ascolto e soluzione dei problemi ed è in questo che la classe politica rappresentata dalla società civile ha fallito in pieno, per assenza di visione e incapacità di comprendere e di agire.

Chi inventò il temine “società civile” è Rousseau, (quello della piattaforma grillina) che non ha voluto distinguere nell’ambito della democrazia diretta la differenza tra società civile/società naturale.

Nel contesto odierno esce danneggiato il concetto stesso di Stato come sfera giuridico-politica in cui tutti gli uomini sono uguali in quanto dotati degli stessi diritti. Quindi, stabilito che il sogno di una società civile capace ed efficiente si è infranto in compagnia dei sogni di gloria di Grillo e che nel centrodestra il fascino è durato una stagione, c’è da sperare che la politica torni come professione, come passione, come studio, come capacità di amministrare, come scuola.

Tutto questo può essere favorito solo con il ritorno di una forma democratica di finanziamento pubblico che regoli l’accesso e la qualità della classe politica per non consegnarla a chi non ha né arte né partito.

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