Complotto pro contro- Come ha preso Giorgia Meloni la comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati per il caso Almasri
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La «giustizia a orologeria» e il cambio di foto profilo Whatsapp di Mantovano.
29 Gennaio 2025 - 05:57 Alessandro D’Amato open.online lettura2’
La «giustizia a orologeria» e il cambio di foto profilo Whatsapp di Mantovano. Il collegamento con il caso Caputi. I precedenti e l'idea di usare l'argomento per la riforma della giustizia
«Non sono ricattabile, non mi lascio intimidire». Le parole di Giorgia Meloni sull’indagine per favoreggiamento e peculato nei suoi confronti per il rimpatrio di Almasri tradiscono l’ira della premier per «l’atto gravissimo» di cui ha incolpato il procuratore di Roma Francesco Lo Voi. Quello «del fallimentare processo a Salvini», secondo Meloni. Ma anche l’uomo che ha ottenuto la condanna di Matteo Messina Denaro per le stragi di Capaci e via D’Amelio. A Palazzo Chigi vedono il tutto come «un attacco alla democrazia», fa sapere oggi il Corriere della Sera. Perché «pensare di mandare in galera il governo per aver assunto una decisione politica» è una mossa «gravissima, inaccettabile». Un esempio di «giustizia a orologeria».
L’aereo di Stato
Con lei avvertiti dell’esposto di Luigi Li Gotti sono anche il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, il responsabile della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Quest’ultimo, fa sapere il quotidiano, ha inserito l’atto come foto profilo del suo Whatsapp, per sottolineare il dispiacere per quella che viene vista come «una provocazione». E fonti del governo ricordano che proprio Lo Voi ha fatto ricorso al Consiglio di Stato perché Mantovano gli avrebbe tolto l’aereo dei Servizi con cui volava da Roma a Palermo. In un retroscena di Repubblica si racconta che l’ufficiale di polizia giudiziaria ha varcato la porta di Palazzo Chigi alle 13.30. Alle 12.40 Meloni lascia il Quirinale e dopo pranzo riunisce lo staff. A premere per lo scontro con la magistratura è Giovanbattista Fazzolari.
La miglior difesa è l’attacco
Al termine del gabinetto di guerra la premier decide che la miglior difesa è l’attacco. E registra il video in cui se la prende con Li Gotti e Lo Voi. Il messaggio, spiega il quotidiano, è un avvertimento alle toghe. La tesi è che esistano alcune «correnti politicizzate» che non accettano la separazione delle carriere. E reagiscono provando ad «abbattere il governo». La replica diventa così un modo per mobilitare gli elettori con slogan che ricordano Berlusconi in vista del referendum costituzionale sulla riforma della giustizia. Con il procuratore di Roma la premier è arrabbiata anche per un altro motivo.
Gli accertamenti dell’Aisi su Caputi
Ovvero perché Piazzale Clodio ha inserito nel fascicolo a disposizione dei quattro giornalisti indagati del Domani la notizia degli accertamenti dell’Aisi sul suo capo di gabinetto, Gaetano Caputi. Una circostanza riservata che, secondo fonti dell’esecutivo e dell’intelligence, doveva restare fuori dagli atti. E balla anche la reazione più drastica: quella di un “grande reset” elettorale.
La miglior difesa è l’attacco
La Stampa aggiunge che secondo una fonte vicina alla premier la vicenda potrebbe rivelarsi utile alla maggioranza. In primo luogo perché gli indagati che dovranno organizzare la propria difesa potranno ricorrere a informazioni e riferimenti che giustifichino le loro scelte, in nome di una presunta consuetudine. L’accusa di peculato potrebbe permettere agli indagati di raccontare precedenti casi di rimpatri per motivi di sicurezza avvenuti con un aereo di Stato. Come per Almasri. Negli ultimi trent’anni, sostengono a Palazzo Chigi, l’hanno fatto tutti i capi di governo. La premier pensa anche che con l’indagine sarà più facile sostenere la «politicizzazione della magistratura». Guadagnando consenso per la riforma della giustizia



Commenti
28 Gennaio 2025 - 20:31 Diego Messini. Open.online
La terzogenita del fondatore di Forza Italia: «Giustizia a orologeria, sospetto più che legittimo»
«Impossibile non pensare a quell’avviso di garanzia che ricevette mio padre, Silvio Berlusconi». A parlare al Tg1 a poche ore dalla notizia dell’indagine a carico di Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano per la vicenda del rimpatrio del trafficante libico Najem Osama Almasri è Barbara Berlusconi, terzogenita dell’ex leader di Forza Italia. La dirigente di Fininvest consegna poche parole al Tg della rete ammiraglia Rai, ma sufficienti a tracciare il parallelo «inquietante» con la vicenda che colpì il Cavaliere agli albori della sua carriera di presidente del Consiglio. «Il pensiero va all’avviso di garanzia ricevuto da mio padre durante il vertice Onu a Napoli del 1994. Non so se tratti di giustizia a orologeria, ma il sospetto è legittimo».
Cosa successe a novembre 1994
Quello rievocato da Barbara Berlusconi fu un episodio eclatante che aprì il decennale scontro tra centrodestra e magistratura: il 22 novembre 1994 l’allora premier fu raggiunto da un invito a comparire da parte della procura di Milano con l’accusai di corruzione. La notizia, che lo raggiunse mentre era impegnato in uno dei suoi primi summit internazionali (era alla guida del Paese da pochi mesi dopo la prima vittoria elettorale), era stata anticipata poche ore prima dal Corriere della Sera. Un mese dopo il suo governo cadde, dopo la rottura consumata con la Lega di Umberto Bossi. Per Barbara Berlusconi, oggi appare quanto mai sospetta la coincidenza con la riforma della giustizia su cui la maggioranza di centrodestra sta procedendo in Parlamento
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