Regressione impolitica La situazione è troppo grave per prendere sul serio il Pd
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Sul riarmo europeo il Pd si è astenuto, tranne alcuni dissidenti che hanno votato sì, ma poi ha spiegato di essere contrario.
Francesco Cundari 19 Giugno 2025 linkiesta.it lettura3’
E al corteo pacifista non aderisce ma invia un buon numero di parlamentari. Quello di Schlein è un partito sempre più monocratico ma sempre meno monolitico, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
Il contrasto tra l’eccezionale gravità di quanto accade nel mondo e la lunatica leggerezza di quanto accade nel centrosinistra, e in particolare nel Pd, non potrebbe essere più disturbante. L’ultimo episodio, raccontato da Mario Lavia su Linkiesta, riguarda la polemica seguita al voto di una risoluzione sul Pnrr presentata dal socialista rumeno Victor Negrescu, in cui si chiedeva all’europarlamento di prorogare di un anno e mezzo i progetti finanziati dal Next Generation Eu.
Siccome però in alcuni punti la risoluzione apriva alla possibilità di indirizzare quelle risorse alla difesa, Giuseppe Conte ha subito colto l’occasione per attaccare «l’Europa militarizzata» che vuole usare per la guerra le risorse del Recovery Fund. Un modo di attaccare il governo Meloni (che peraltro ha sempre escluso categoricamente una simile opzione) colpendo in realtà anzitutto il Pd, che quella risoluzione ha votato, tanto più alla vigilia della manifestazione di sabato contro il riarmo. Motivo per cui il Pd ha sì votato la risoluzione, ma votando contro (tranne Elisabetta Gualmini e Giorgio Gori) i punti in cui compariva la parola “difesa”, ovviamente in dissenso dal Pse. Sintesi di una voce certo non pregiudizialmente ostile come quella di Daniela Preziosi su Domani: «Resta che il Pd vota no, ma poi vota sì. Sul piano di riarmo si è astenuto, con un abbondante drappello di dissidenti che hanno votato sì, ma poi ha spiegato di essere contrario. E al corteo contro il riarmo non aderisce ma invia – in maniera unofficial, certo – un buon drappello di parlamentari».
Questo spettacolo penoso è anche una nemesi, per una certa sinistra che si è sempre fatta beffe delle contraddizioni, dei compromessi e dei balbettii della dirigenza riformista, e che ora, disponendo di tutte le leve, dovrebbe dare finalmente ben altro spettacolo. E invece, guarda un po’, si dimostra ancora una volta che i problemi politici non si lasciano risolvere né con gli slogan né con la prepotenza.
Vedi anche il piccolo ma istruttivo caso di Stefano Ceccanti, ex parlamentare e costituzionalista che non ha potuto votare al congresso del suo circolo, di fatto “occupato” con un blitz da un gruppo di autoconvocati, tutti appartenenti alla maggioranza di Schlein. Piccola vicenda locale, ma secondo Antonio Polito rivelatrice del fatto che il Pd sarebbe sempre più «un partito monolitico e perfino monocratico».
Mi permetto di correggerlo, anche alla luce delle vicende di cui sopra. Direi semmai: sempre più monocratico e sempre meno monolitico (semmai un filo paleolitico, che è un’altra cosa). Quando infatti dai regolamenti di conti interni si passa alle grandi cose del mondo, il gruppo dirigente appare assai meno energico. Alla fine, come scrive Lavia, la sinistra accusa il governo di avere una linea debole sulla guerra, subalterna a Donald Trump, però quale sia la linea forte della sinistra in proposito non si capisce mica. Mi verrebbe voglia di dare ragione a Giuliano Ferrara quando scrive sul Foglio, pensando a Elly Schlein, che «la leggerezza in politica è una forma estrema, estremista di grossolanità». Quando ironizza su questa «persona decente, autentica nelle sue ambizioni, il regno o la regia cinematografica, indifferente, non antipatica, gelosa di privacy e riposo conveniente».
Ma soprattutto, tra tante cose che non condivido più o meno implicite nel suo articolo, a cominciare dal giudizio su Netanyahu, temo però di doverne condividere la conclusione: «La fortuna di Schlein è che si batte contro Nessuno, non nel senso odisseico del termine, non contro una classe dirigente astuta e coraggiosa, ma contro i pavidi resti di una cultura politica che con lei è definitivamente e ingloriosamente scomparsa».