La commedia umana L’ultimo numero da trasformista di Conte è quello di mostrarsi saggio e affidabile

È l’ultima reincarnazione di un personaggio a metà tra il Vautrin di Balzac e il solito trasformismo italiano

Mario Lavia, 13.11.2025 linkiesta.it lettura 2’

Il leader dei Cinquestelle ora prova ad apparire più moderato del Pd, e a imporsi come l’uomo di governo nel campo largo rispetto all’inesperta Schlein. È l’ultima reincarnazione di un personaggio a metà tra il Vautrin di Balzac e il solito trasformismo italiano

C’è qualcosa di profondamente balzachiano nella traiettoria trasformistica di Giuseppe Conte. E più precisamente di “vautriniano”. Chi è Vautrin? È un personaggio centrale de “La commedia umana”, l’uomo che conosce i meccanismi del potere e li domina travestendosi: criminale e poliziotto, rivoluzionario e conservatore, il suo camaleontismo attraversa i romanzi confidando nella sua maschera cialtronesca.

Così l’avvocato, dopo aver imbrattato per anni i muri della politica con la vernice del più tossico populismo, fino a scavalcare a sinistra spesso e volentieri il Partito democratico facendolo ammattire, adesso ha assunto l’aria del buon padre di famiglia («Macché patrimoniale»); non parla più del genocidio, appare negli studi di Vespa e di La7 più mellifluo che barricadero confermando di essere sì progressista – nello stile di un avvocato di fine Ottocento – ma rifuggendo dalla parola “sinistra” che spaventa tanta gente. Una specie di riserva della Repubblica.

È l’ultima reincarnazione à la Vautrin con la quale punta a rievocare il periodo dorato di quando faceva lo statista alle prese con il dramma del Covid e molta gente gli credeva, mentre lui faceva scorrazzare camion russi per le strade d’Italia non si sa bene per fare che: l’idea sponsorizzata da un redivivo Rocco Casalino, e che trova adepti persino nel Partito democratico, è quella di giocare la sua presunta padronanza della stanza dei bottoni a cospetto di una Elly Schlein che nulla sa dei meccanismi dello Stato e dell’ars governandi, insomma contrapponendo il Professore compassato alla studentessa scavezzacollo. Così, se ci saranno, alle primarie lui sarà l’affidabile uomo di governo, lei la dilettante allo sbaraglio.

È dunque ora un Conte più di destra dei Nazareno Boys, nonché abile giocatore di poker che senza voti si è beccato la Sardegna e tra un po’ la Campania, lì un po’ per caso, qui grazie alla Santa Alleanza con Vincenzo De Luca e Clemente Mastella.

È un’ulteriore puntata del serial del “CamaleConte” che conferma come egli si colloca nella lunga tradizione del trasformismo nazionale, aggiornandolo ai codici mediatici del ventunesimo secolo. Laddove la Prima Repubblica richiedeva la mediazione partitica e la Seconda l’iper-leadership mediatica, Conte ha imposto una terza via cosparsa di ambiguità affabile: la figura apparentemente mite e post-ideologica, capace di farsi interprete dell’incertezza di un Paese che ha smarrito i propri riferimenti forti, cioè un leader senza una vera faccia ideologico-culturale, ma forte di una maschera di gomma che si adatta a ogni situazione.

Che abbia intuito, Conte, che dopo la politica muscolare di Giorgia&Elly il popolo abbia voglia di una certa normalità certo raffazzonata ma in fondo molto italiana?

Resta dunque da vedere se l’opacità dell’uomo che guidò due governi di segno opposto senza battere ciglio sarà la sua arma vincente o il definitivo autosabotaggio, preludio della fine del più scombiccherato partito della Repubblica.

In ogni caso, la traiettoria di Conte mostra come la politica italiana cerchi ancora figure di mediazione simbolica: volti che possano incarnare un ordine nel disordine. In questo senso, il capo del Movimento 5 stelle è l’erede di una genealogia che unisce il Vautrin balzachiano ai trasformisti ottocenteschi e a una certa storia democristiana di lungo corso: l’arte tutta nazionale di cercare di sopravvivere cambiando pelle.

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