Referendum giustizia. Travaglio e le parole mai dette (ma, dice, pensate!) da Borsellino,

le scuse di Gratteri ( intervista Falcone ): basta con i santini, si parli del merito

Giuseppe Belcastro 14 Novembre 2025 alle 03:17 ilriformistal.it lettura3’

Da quando si sono aperte le danze della campagna referendaria sulla riforma della giustizia, sentiamo quotidianamente che dovremmo votare in un modo piuttosto che in un altro perché così la pensa o l’ha pensata qualcun altro. Sono profondamente convinto della bontà e della necessità della riforma, ma, vivaddio, lo sono per ragioni di merito, non certo perché menti autorevoli oggi la sostengano o in passato l’abbiano sostenuta.

Inganno ipse dixit

Il richiamo all’ipse dixit come argomento di persuasione, in fondo, è un po’ un inganno. Un po’ però; non del tutto. Perché mentre non vale a raccontare la giustezza di un’idea – che se è giusta lo rimane chiunque la sostenga, e se non lo è hai voglia a trovare sostenitori autorevoli – serve invece certamente a smascherare alcune sciocchezze che, in buona o in malafede, si agitano nel dibattito pubblico. Per stare al tema, se un campione della giustizia italiana – quale era certamente Giovanni Falcone – ha sostenuto in maniera cristallina che la separazione delle carriere tra giudici e Pm è necessaria al sistema accusatorio (a scanso di equivoci: La Repubblica, giovedì 3 ottobre 1991, pag. 9), l’accusa dei detrattori secondo cui l’unica ragione della riforma sarebbe un infingardo complotto per attentare all’autonomia dell’ordine giudiziario diventa roba buona per le ortiche. L’utilità però finisce qui; perché qui comincia il lavoro, più duro ma inevitabile, di raccontare come stanno per davvero le cose, a prescindere da chi le sostenga e da chi le avversi.

Le scuse di Gratteri

Oggigiorno, invece, pare che lo sport più in voga sia quello di tirar per la giacchetta questo o quell’altro pensatore, giurista, filosofo, professore, come se la provenienza di un racconto conferisca al racconto il crisma della verità. E su questa strada, quella cioè che allontana dal merito delle questioni e avvicina al tifo e al sensazionalismo, si rischia di inciampare, come accaduto pochi giorni addietro nientemeno che al Procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, frontman del No alla riforma, il quale, a favore di telecamere, ha letto un’intervista in cui Falcone raccontava i suoi timori sulla separazione delle carriere; intervista che, però, Falcone non ha mai rilasciato. Se ne è scusato il Procuratore.

L’intervista a Falcone che non esiste

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Ma in disparte le scuse – e in disparte pure le riflessioni naturali sul come sia possibile un intervento di questa marca, specie perché proveniente da chi la verifica delle fonti ha per mestiere ( Gratteri)– resta una domanda: è davvero così difficile percepire che questi metodi di confronto rischiano di diventare specchietti per le allodole i quali, piuttosto che avvicinarli, allontanano i cittadini dalla vera comprensione del tema? Perché se invece non è difficile, come io credo, allora è pure legittimo pensare che, forse, il ricorso a questi stratagemmi di persuasione ha proprio l’obiettivo di buttare la palla in tribuna, di distogliere insomma l’attenzione da un tema su cui non si confida di poter sostenere adeguatamente le proprie tesi. Più o meno come fa chi mira a trasformare il referendum in un voto pro o contro l’attuale governo.

Travaglio e le parole mai dette (ma pensate!) da Borsellino

A certe latitudini, però, questo stratagemma, un tempo chiamato argumentum ad hominem, sembra irrinunciabile: si è scusato infatti pure Marco Travaglio, incappato nello stesso identico abbaglio con riferimento alla figura di un altro illustre magistrato, Paolo Borsellino, di cui aveva riportato parole mai dette. Solo che un rigo dopo ha ricominciato a raccontare che la sua notizia, pur falsa, rappresentava però per davvero il pensiero di Borsellino; a ripetere, insomma, che questo solo fatto dovrebbe bastare a votare No, a prescindere dai contenuti della riforma. Il tempo corre e il giorno del voto si avvicina. Per ora le ragioni del Sì al referendum appaiono chiare, semplici e immediate; quelle del No – affidate a narrazioni di future sottomissioni del Pm all’esecutivo e a racconti di pura fantasia – invero molto meno. Le cose sembrano andar dritte, distrazioni di massa permettendo.

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