GIUNTA PD TOSCANA/ Quell’assessorato alla “felicità” che si illude di soddisfare il cuore dell’uomo
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Eugenio Giani, ha modificato lo statuto, inserendovi il diritto alla felicità, cui ha dedicato un assessorato
Federico Pichetto 21.11. 2025 ilsusidiario.net lettura3’
Eugenio Giani, riconfermato alla guida della Regione Toscana, ha modificato lo statuto, inserendovi il diritto alla felicità, cui ha dedicato un assessorato
Nella nuova giunta del presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, Cristina Manetti si occuperà del diritto alla felicità. Un assessorato sui generis, per celebrare l’ispirazione che il toscano Filippo Mazzei portò al gruppo di lavoro che stava scrivendo i documenti fondamentali della nuova democrazia americana e che si concretizzò nell’inserimento di quel diritto proprio nella Dichiarazione di Indipendenza delle tredici colonie dall’Inghilterra.
Il punto è che i neonati Stati Uniti d’America avevano una concezione della felicità lontana anni luce da quella della Regione Toscana: felice era l’uomo che era messo nella condizione di perseguire liberamente un bene oggettivo. Nessun soggettivismo, nessun diritto, nessun individualismo sfrenato: solo la possibilità di custodire quel “demone buono” che da Aristotele in poi è riconosciuto come il tratto caratteristico dell’essere umano, il desiderio di essere felici.
Il nostro tempo non è diverso dagli altri tempi: ogni epoca della storia, dalla torre di Babele in poi, racconta di un uomo che non regge la posizione vertiginosa in cui il bisogno di essere felice lo colloca. L’essere umano non riesce a stare dentro quel desiderio radicale di bene che – per dirla con Platone – chiede un cenno dal Cielo, chiede una “rivelazione”.
Così comincia a ridurre la portata del cuore, si accontenta via via di felicità sempre più piccole, fino a far coincidere la ricerca del proprio bene con la rivendicazione di un’idea, di un progetto, di un’emozione, di una necessità. La felicità perde ogni contorno spirituale e diventa qualcosa di misurabile, di acquisibile come si acquisisce un bene con la tessera dei punti del supermercato.
Il diritto alla felicità della giunta Giani è proprio questo: la possibilità che tutti possano cercare ciò che vogliono, essere ciò che vogliono, fare ciò che vogliono. È, insomma, un’ordinata anarchia.
Eppure, un diritto esisterebbe e lo si può cogliere portando l’attenzione alle persone scartate del nostro tempo: gli indigenti, i feti e i malati mentali. Tutte queste categorie sono ridotte nella loro essenza: gli indigenti diventano un problema, i feti materiale organico, i malati mentali un pericolo morale.
Essi, tuttavia, hanno solo bisogno di essere riconosciuti come un bene che non è contraddittorio rispetto al cammino della collettività, ma che rappresenta – come direbbe Romano Guardini – una polarità alternativa, un punto d’attrazione alternativo che rende l’esistenza una possibilità che non può essere negata. I feti devono avere questa possibilità, gli indigenti devono avere questa possibilità, i malati di mente devono avere questa possibilità.
Non esiste un diritto alla felicità che non sia diritto ad un cammino, ad una strada, alla possibilità di esistere. Non si tratta di un diritto individuale, come fosse un privilegio da accordare a ciascuno, ma di un’istanza che si concretizza dentro ad un’appartenenza.
L’uomo è felice se non è solo, l’uomo è felice se appartiene e se – in quell’appartenenza – non fa l’esperienza del branco o della setta, ma fa l’esperienza di una nuova libertà. La libertà, sempre guardando alla torre di Babele, che è fatica ad incontrare l’altro, che è fatica a comprendere le lingue e i linguaggi degli altri, che è necessità di poter andare dietro ad un bene; ma mai da soli su sentieri sperduti, sempre dentro ad un popolo, ad una comunità.
Giani può pensare che all’Io basti il reddito di cittadinanza o il riconoscimento dei legami affettivi che più lo interessano, ma al cuore nulla basta. “Tutto è poco e piccino per l’animo mio” diceva Leopardi. Il cuore ha bisogno di appartenere, di essere nella realtà non come singolo, ma come comunione, come persona.
Auguri, dunque, all’assessora alla felicità. Auguri per il suo mandato, per le sue battaglie, per le sue certezze. Ma soprattutto auguri per quello che potrà scoprire: non una felicità ideologica che lascia l’uomo più triste e più violento, ma una felicità inesauribile che nessun assessorato potrà mai elargire.
C’è da sperare che l’assessora costruisca luoghi dove quella felicità è perseguita, custodita, imparata. Altrimenti, come direbbe la bibbia, “chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”.
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