Cooperative, Consorte: «Sistema da riformare»

Mancano collante, regia e organismi di controllo. Consorte sulla decadenza del mondo cooperativo. E D'Alema? «Accuse così spesso finiscono in nulla».

INTERVISTA di Francesca Buonfiglioli | 02 Aprile 2015

L'ultima è stata la Cpl Concordia, cooperativa modenese finita nei guai per le presunte mazzette pagate al Comune di Ischia per la distribuzione di gas metano.

Prima c'erano state - limitandosi a elencare gli scandali recenti - la Manutencoop per l'Expo, la Coveco per il Mose, la 29 giugno di Salvatore Buzzi per Mafia Capitale, la Cmc di Ravenna per il sistema Incalza.

SIMONE TIRA IN BALLO D'ALEMA. Il sistema cooperativo si sgretola inchiesta dopo inchiesta. L'ultima ha tirato in ballo anche Massimo D'Alema. La Cpl avrebbe versato alla sua fondazione Italiani europei 60 mila euro. Non solo. Pare che la coop modenese abbia acquistato 2 mila bottiglie di vino prodotte dal lìder Massimo e centinaia di suoi libri.

A chiamarlo in causa Francesco Simone, dirigente della Cpl arrestato, che in una intercettazione spiegava la necessità di «investire negli Italiani europei», perché «D'Alema sta per diventare commissario Ue». «...D'Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi», continuava Simone, «ci ha dato delle cose».

COOP, TRA MANDARINI E ANOMALIE. D'Alema, nonostante l'autorottamazione, resta - a leggere le carte - l'ultimo referente politico di un sistema ormai sclerotizzato. Con dirigenti che stanno in carica da 39 anni.

«Una casta di mandarini», spiega a Lettera43.it Giovanni Consorte, ex manager Unipol. «Nemmeno un manager privato resta in sella per così tanti anni. È senza dubbio un'anomalia».

Consorte dice di non vedere né sentire D'Alema dal 2006. «Quello che però posso dire è che non di sola politica attiva è fatta la politica», aggiunge.

Giovanni Consorte è stato presidente e amministratore delegato di Unipol.

DOMANDA. D'Alema ha attaccato la magistratura. Eppure la sua Italiani europei avrebbe ricevuto finanziamenti dalla Cpl.

RISPOSTA. Non voglio, né mi interessa fare un’analisi del personaggio. Mi sento invece di azzardare che montare un caso per la vendita di libri e vino sia oggettivamente sopra le righe e che spesso, troppo spesso, accuse di questo tipo finiscono in un shakespeariano “molto rumore per nulla”.

D. La polemica è comunque esplosa, con attacchi alla magistratura e alla stampa.

R. In questi giorni il primo ministro Matteo Renzi ha dichiarato che un avviso di garanzia non può determinare le dimissioni della persona indagata dalle cariche che ricopre, e si è di nuovo riaperto un dibattito sulle intercettazioni telefoniche.

D. Un'esperienza che lei conosce bene.

R. Posso solo dire di essere molto amareggiato dalle posizioni assunte oggi. Nel 2005 fui lasciato solo e dalle intercettazioni che paradossalmente sono state la mia fortuna relativamente alla vicenda Bnl vennero pubblicati aspetti personali delicati miei e dei miei familiari, che nulla avevano a che vedere con la vicenda.

D. Tornando a Cpl, quali sono i vizi capitali del sistema cooperativo, a parte una classe dirigente inamovibile?

R. La crisi economica e dei mercati, l’appesantimento della fiscalità nei vari settori, la fragilità finanziaria delle cooperative, l’impossibilità di accedere ai capitali, la politica del massimo ribasso negli appalti, pubblici e privati e la carenza di effettivi controlli sulla attività delle grandi realtà.

D. Una débâcle... nient'altro?

R. L’impossibilità in questi anni di intervenire come sistema cooperativo con una drastica e tempestiva ristrutturazione delle aziende in crisi.

D. Di chi è la responsabilità?

R. Carenza di volontà politica, incapacità professionale e annacquamento dei valori e degli ideali della cooperazione. È bene sottolineare che i primi a farne le spese sono i soci cooperatori e i dipendenti, che non hanno nessuna colpa nelle varie situazioni negative che si sono venute a creare.

D. I controlli sul mondo cooperativo sono di competenza del ministero del Lavoro. E cioè di Giuliano Poletti, ex presidente di Legacoop. Conflitto di interessi?

R. Una cosa è effettuare controlli sulle piccole cooperative; tutt’altra cosa è effettuare controlli di merito sulle grandi aziende che richiedono esperienza e professionalità consolidate.

D. Può essere più chiaro?

R. Dico solo che le verifiche sono svolte da un corpo di ispettori che non rispondono direttamente al ministro. Ma controllare un'azienda da 50 dipendenti e un fatturato da 4 milioni è diverso dal controllarne una da 3 mila dipendenti e un giro d'affari da 4 miliardi. Occorrono competenze diverse...

D. Ciò non toglie che Poletti da controllato è diventato, almeno nominalmente, controllore.

R. Se valutiamo la questione dal punto dell'opportunità è così. Per questo Poletti dovrebbe delegare ufficialmente le verifiche a un altro dirigente del ministero.

D. Ex Nar insieme con ex comunisti, ma anche criminalità organizzata. Ormai le coop sono diventate permeabili a ogni tipo di affare e malaffare e dell'ideale iniziale non è rimasta nemmeno l'ombra.

R. La cooperazione è nata e si è sviluppata in Emilia Romagna e in poche altre regioni come la Toscana, non è mai stata un fenomeno economico e sociale di dimensione nazionale.

D. Quindi esistono coop diciamo docg e coop che non lo sono?

R. In Emilia Romagna vige la filosofia del potere. Un presidente di cooperativa non rischia di suo. Resta in carica decenni solo ed esclusivamente per una questione di potere, non certo per arricchirsi.

D. Quindi c'è una differenza genetica con le altre cooperative?

R. Diciamo che la crescita della cooperazione in Emilia Romagna è proceduta di pari passo con una crescita di valori politici e culturali. Senza questo substrato fondamentale, io ho sempre considerato le cooperative cosiddette spurie con diffidenza e solo dopo opportune verifiche potevano essere considerate facenti parte della “famiglia”.

D. E nella 'famiglia' di Legacoop entrò senza problemi la 29 giugno di Buzzi.

R. Se Legacoop era consapevole di ciò che la 29 giugno stava facendo allora sì, ci sono delle responsabilità.

D. Non crede sia necessario un maggiore sistema di controllo interno?

R. Occorre una riforma istituzionale.

D. Cioè?

R. Come le società quotate devono fare i conti con la Consob, allo stesso modo le coop dovrebbero avere un organismo di vigilanza autonomo.

D. Una Consob per le cooperative?

R. Di più. Questo organo esterno e peculiare deve fare le veci di una società di revisione, deve controllare le coop che entrano nel sistema come fa la Consob per le società in Borsa. E il risparmio, come fa la Banca d'Italia.

D. Quindi le cooperative non vanno rottamate.

R. No. Non c’è nulla da rottamare, ma da rilanciare, riformando l’impianto dei valori culturali e politici e rinnovando i gruppi dirigenti.

D. Nonostante il sistema sia in crisi?

R. È venuto a mancare il collante, l'idea stessa di sistema. Quando a metà degli Anni 70 ci fu la crisi delle cooperative di consumo, nacque Coop Italia che funzionava da compensatore. Aiutava chi era in difficoltà, spalmando gli oneri sulle altre coop.

D. Poi fu la volta di Unipol.

R. Unipol ha svolto un ruolo di supporto, di garanzia e di professionalità nei confronti del mondo cooperativo fungendo da collante credibile e risolvendo innumerevoli problemi di crisi aziendali piccoli o grandi che fossero.

D. Fu in quegli anni che prese corpo il sistema?

R. Sì. Questo perché capimmo che oltre ad aiutare le aziende in difficoltà potevamo sostenerne lo sviluppo. Poi arrivarono gli Anni 90.

D. E i salvataggi...

R. Sì, anche del partito (ride).

D. Già. E di molte aziende.

R. Ma non di quelle morte: i morti non si resuscitano. Ci prendemmo cura solo di quelle che avevano qualche chance. Per esempio, la Cmc riuscimmo a salvarla. Eravamo la Mediobanca del mondo cooperativo.

D. Dopo le inchieste questo meccanismo si intralciò?

R. Unipol non svolse più il ruolo di regia e di supporto.

D. Un punto di forza era l'alleanza con le parti sociali.

R. L’alleanza con le parti sociali era nel Dna del mondo cooperativo e di Unipol. L’eliminazione del concetto di sistema ha rappresentato la fine di un’epoca.

D. Che ruolo ha avuto in tutto questo il partito?

R. Non ha mai avuto un ruolo determinante. Ricordo che a metà degli Anni 90 quando la banca interveniva si chiedeva l'ok per una operazione che, così, aveva la strada spianata. Ma non ha mai dato soldi alle coop.

D. Semmai il contrario...

R. Questo lo dice lei. Non conosco questo sistema.

D. Esiste ancora una questione morale all'interno del Pd?

R. Se c’è mai stata, è opportuno aspettare le sentenze definitive dei tribunali; sicuramente si sono allentati i controlli sociali all’interno delle aziende e questo può aver determinato anche un allentamento dei

valori. Se si interviene seriamente con i poteri necessari tutto può tradursi in positivo.

D. Molti osservatori fanno risalire il declino del sistema alla svolta della Bolognina. È così?

R. La mia visione fa risalire la crisi del sistema al compromesso storico del 1975 che ha avuto il suo apice nel 2005 con la costituzione del Pd. Non si è avuto mai nella sinistra il coraggio di trasformarsi in un partito riformista di stampo europeo, come già avvenuto nei principali Paesi del continente.

D. Un progetto fallimentare, quindi.

R. Si sono messi insieme valori e culture politiche di mondi diversi tra di loro che a mio parere potevano allearsi ma non fondersi. L’ho sempre definita una ‘fusione a freddo’.

D. Cosa rimane del sistema emiliano romagnolo?

R. Dal punto di vista delle cooperative, aziende sane, aziende in crisi, aziende in cenere, così come nel sistema privato. Bisogna rimboccarsi le maniche e le aziende si rilanceranno. Ciò che vedo più critico è il cambio dei gruppi dirigenti, dell’attuale sistema di potere e il rilancio dei valori della cooperazione presso le nuove generazioni.

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