"Caro Renzi, ti spiego perché non voterò mai più il tuo Pd"

Camusso ci spiega perché nascerà un nuovo soggetto politico. “Landini? Non è corretto fare politica con il sindacato”

di Claudio Cerasa | 16 Aprile 2015 ore 09:30 Foglio

Roma. Guardandola negli occhi, capisci che se solo potesse Susanna Camusso, di fronte a Matteo Renzi, farebbe più o meno la stessa cosa fatta ieri pomeriggio a Francoforte da una attivista non particolarmente simpatizzante per Mario Draghi: entrare in scena, saltare sul palco, avvicinarsi al grande capo, lanciare mille coriandoli e, con un sorriso, urlargli: “Vergogna, sei un dittatore, lasciaci in pace!”. Abbiamo preso ieri mattina un caffè in Corso Italia, a Roma, con il segretario generale della Cgil. E abbiamo cercato di capire, alla luce della cavalcata mediatica di Maurizio Landini, cosa abbia scelto di fare Susanna Camusso con quei 5 milioni di iscritti al sindacato più grande d’Europa. Apertura di credito a Renzi? Nein. Apertura di credito a Landini? Per carità. Simpatie vendoliane? Non scherziamo. Coalizione sociale? Non ne parliamo. Dunque? Camusso parla a ruota libera con il Foglio e affronta diverse questioni interessanti, che permettono di inquadrare meglio la direzione del suo sindacato. Il segretario generale riconosce che questa è una fase storica cruciale, in cui il sindacato può autoriformarsi per poter rappresentare tutta quella parte del paese che, colpevolmente, non ha rappresentato in tutti questi anni.

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 Ma dice anche che, per fare questo, ci sono due grandi premesse da sviscerare. La prima, come fa Landini, è quella di voler fare politica. La seconda, come fa Renzi, è quella di sacrificare i diritti dei lavoratori. “Voglio bene a Landini ma la sua coalizione sociale non si capisce davvero dove voglia arrivare, e personalmente trovo poco corretto che un sindacalista faccia indirettamente politica utilizzando il suo sindacato. Per quanto riguarda Renzi, noi siamo pronti a discutere anche domani con il presidente di contrattazione nel pubblico e di applicazione dell’articolo 39, quello sulla rappresentanza sindacale nelle imprese. E siamo pronti anche domani a sostenere, con le nostre forze, una legge che preveda l’abolizione del contratto a chiamata, la guerra al caporalato e al lavoro nero, nonché una buona legge che renda più sane ed efficienti le nostre amministrazioni pubbliche. Purtroppo dobbiamo prendere atto che la riforma del lavoro fatta da Renzi è una sfida prima di tutto al sindacato e al buon senso. E quando un governo toglie diritti ai lavoratori, non c’è numero che tenga: potranno esserci anche più occupati, ma saranno nuovi occupati che rischiano di lavorare in condizioni di subordinazione proibitive. E questo non possiamo accettarlo”.

La distanza tra Camusso e Renzi è una ferita profonda che riguarda, come ammette lo stesso segretario generale, non tanto i rapporti personali (“faccio fatica a pensare a quante volte ci siamo parlati nell’ultimo anno e mezzo”) quanto i rapporti tra il sindacato e il Pd. Camusso riconosce “che se è vero che posso dire con certezza che la gran parte degli iscritti al Pd ha anche la tessera della Cgil, non posso dire con altrettanta certezza che la gran parte degli iscritti alla Cgil abbia la tessera del Pd”. Un passo in avanti nel ragionamento, e Camusso  ci offre due spunti di riflessione utili per capire qualcosa di più sulla strada che prenderà nel futuro. Il Foglio chiede al segretario della Cgil che partito voterebbe nel caso in cui si dovesse andare alle elezioni. La risposta è prima evasiva e poi netta: “Sono particolarmente contenta di essere una cittadina lombarda non costretta a votare a queste elezioni”, dice, “ma se mi chiedete per chi voterei oggi io dico che voterei comunque a sinistra, voteri per qualche candidato singolo, magari, ma per la prima volta in vita mia non voterei nessun partito attualmente presente nella nostra cartina politica. E sono convinta che l’elettore di sinistra, per come è fatto, è incompatibile con il modello di uomo solo al comando”. Nessun partito, dunque ovviamente nemmeno il Pd. Il discorso si fa interessante, perciò chiediamo a Camusso se crede sia possibile immaginare, nel futuro prossimo, un’evoluzione del sistema che porti alla formazione di un nuovo soggetto esterno al Pd. Camusso, con sincerità, la mette così: “Credo che alla lunga sarà una dinamica naturale. Lo spazio c’è, è evidente, il Pd non è più un tradizionale partito di sinistra e da qui alle prossime elezioni immagino che qualcosa di importante succederà”.

Modello Die Linke tedesca, chiediamo noi, riferendoci al partito che nacque in Germania nel 2005 per ribellarsi al centrismo della Spd di Schröder. Susanna Camusso pensa a qualcosa del genere, ma tiene a precisare che “a promuovere questo soggetto non può essere il sindacato, come sta facendo Landini in modo improprio, ma, nel modo più naturale, deve essere la politica”. E a proposito di Landini, la nostra chiacchierata con Camusso arriva a sfiorare un tema importante che riguarda il rapporto del segretario con il capo della Fiat, Sergio Marchionne. Camusso dice di essere “costretta per forza di cose a sperare che la rivoluzione Marchionne porti qualche risultato nel breve termine” e crede che “qualcosa arriverà non tanto per la lungimiranza dell’ad della Fiat quanto per l’aiuto avuto da Fiat in America da Obama”. Proprio sul tema Fiat, però, Camusso mostra la sua distanza politica da Landini e dice che il capo della Fiom, tra i vari errori fatti in questi anni, ne ha commesso uno in particolare, che riguarda l’uso del referendum. “Penso al caso Mirafiori, per esempio. Vedete: di fronte a un accordo che si ritiene sbagliato ci si batte per respingerlo, si chiede di votare no, ma una volta registrato il risultato bisogna rispettare le regole e bisogna saper accettare il volere dell’insieme dei lavoratori. E ancora, molte volte il sindacato quando non condivide delle scelte aziendali ha l’obbligo di provare a cambiarle anche con lo sciopero. Quello che non va bene – dice Camusso riferendosi ai numerosi scioperi organizzati dalla Fiom senza grande successo – è reiterarlo quando fallisce, senza interrogarsi sui motivi e sulle ragioni della non condivisione delle proprie idee da parte dei lavoratori. In casi come questi, ci vuole grande rispetto per i delegati e i nostri iscritti che hanno tenuto in vita la presenza della Cgil in Fiat. Non accettare una sconfitta non è un atto di coraggio, ma un atto di non rispetto verso chi rappresentiamo. E ancor più, in una fase storica delicata come questa, sinceramente non ce lo possiamo permettere”. Chiaro?

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