Barbera contro i mamelucchi che fanno guerra fanatica all’Italicum

Dice che la legge elettorale in approvazione alle Camere non è perfetta, e ciascuno può pensarne una migliore come per la formazione della nazionale di calcio

di Giuliano Ferrara | 26 Aprile 2015 ore 06:18

Mi lamento sempre, e non sono proprio il solo a farlo, perché in Italia scarseggiano intellettuali coraggiosi, mentre pullulano accademici superbanali che ripetono sempre la stessa cosa, in particolare quando si tratti di valori costituzionali, di politiche istituzionali. Come revulsivo rispetto a questi bulimici dell’ovvio cito sempre quasi il solo Angelo Panebianco, con le diramazioni della buona scuola liberale che fa riferimento al grande Nicola Matteucci, e pochissimi altri. Ma il costituzionalista Augusto Barbera non va dimenticato, non si lascia dimenticare, in quest’epoca di mamelucchi e altri sunniti del Corano costituzionale, rigidi protettori di un’ortodossia istituzionale rivelata loro su chissà quale monte, che proibisce ogni cambiamento, aggiustamento, ogni imperfezione migliorativa utile al procedere della vita sociale e repubblicana. Proibizione giustificata in nome della lotta contro la mutazione genetica, la degenerazione della democrazia e naturalmente la fine delle nostre care libertà. Ripetute da politici golosi di idee altrui, e gelosi di ogni potere non sufficientemente concertato con tutti loro, queste filastrocche servono egregiamente all’immobilismo della classe dirigente e alla guerra contro ogni forma di decisione politica significativa, da qualunque parte provenga sentita sempre come l’anomalia dell’uomo solo al comando, della leadership da delegittimare.

Barbera, che non è un paradossista e un generico opinionista come chi scrive, è un giurista e un analista istituzionale con i controtitoli, ha scritto un meraviglioso saggio per Il Mulino, che non è un organo editoriale leggero, fogliante, esposto alla contraddizione del quotidiano, ma una rivista sapida e pesante, con il passo della conoscenza analitica dei problemi e un retroterra di serietà non seriosa.

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 Non sto a farla lunga. Barbera dice che la legge elettorale in approvazione alle Camere non è perfetta, e ciascuno può pensarne una migliore come per la formazione della nazionale di calcio, ma la campagna per distruggerla, non già e non solo quella che arriva dalle orde dei nemici politici del governo e del patto del Nazareno, ha nel linguaggio dei costituzionalisti d’assalto, i miei cari mamelucchi, un elemento di perfezione simile al rigor mortis. A scorno degli anatomopatologi del cadavere della Costituzione presunta, la loro, la legge è la migliore possibile nelle circostanze date, parlamentari e politiche, è utile a evitare elezioni neoproporzionalistiche con il Consultellum della Corte costituzionale, non presenta veri rischi per l’equilibrio e i contrappesi di una moderna democrazia occidentale. Barbera fa esempi calzanti, parla del sistema inglese, dei sempre evocati meccanismi del premierato, e denuncia con scherno ma senza disprezzo i cambiamenti di fronte delle Bindi, dei D’Alema e di tutti coloro che nel recente passato avevano abbracciato, con firme referendarie e altri ammennicoli delle buone coscienze, elementi contenuti in questa legge e oggi demonizzati senza ulteriori spiegazioni, per puro strumentalismo. Zagreb e Rodotà-tà-tà escono fatalmente ridimensionati, e rimpiccioliti alquanto, da questa requisitoria in forma di limpida expertise, che affida a “politiche costituzionali comparative”, a un pragmatismo motivato, argomentato e fondato sulle teorie a confronto con i fatti, ciò che i sacerdoti dell’ideologia costituzionale, cioè della falsa coscienza della Repubblica, vorrebbero sequestrare per un ossificato “diritto costituzionale”.

Procura piacere mentale, e ammirazione, seguire il filo razionale e politico di Barbera, mettersi in ascolto delle sue osservazioni sulla soglia del premio di lista, sugli sbarramenti, sui capilista sicuri (perché, si domanda Barbera, non erano sicuri i capilista delle correnti di partito nell’epoca delle rimpiante preferenze?), insomma godersi lo spettacolo del coraggio intellettuale di un isolato della casta sacerdotale, uno che non vuole appartenenze corporativo-accademiche ma pensa con la sua testa, ecco: se i giornali e le televisioni si aprissero a queste idee, invece di triturare e ritriturare sempre lo stesso loglio fanatico dei mamelucchi, faremmo tutti un passo avanti e cominceremmo a parlare delle cose serie, cioè come far funzionare una democrazia moderna invece di scongiurarne la mutazione genetica con discorsi vaniloquenti, a casaccio.

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