L’invasione della giustizia e la democrazia. Giudici e sentenze rubano spazio alla politica, scrive il Corriere. Bene

Questo fenomeno è irreversibile? La politica è destinata a perdere il suo diritto e dovere di operare scelte tra diverse opzioni, chiusa nella duplice camicia di forza dei controlli sovranazionali e della ingerenza giuridico-giudiziaria?

di Redazione | 11 Maggio 2015 ore 17:03 Foglio

Giovanni Belardelli ha scritto per il Corriere della Sera un articolo molto penetrante, che la nuova direzione del quotidiano ha sintetizzato in un titolo, “La giustizia onnipresente che indebolisce la politica”. Notiamo, e oltre non andiamo, che un titolo così lo attendevamo da tempo, sulla prima pagina dell’autorevole testata. Belardelli esamina il fenomeno della “giuridicizzazione della politica”, prendendo spunto dalla recente e discussa sentenza della Consulta sulle pensioni e da varie altre sentenze dei Tar e di altri tribunali: offrono tutte la sensazione che lo spazio di discrezionalità (meglio: legittima responsabilità) tipico delle scelte dei governi si stia restringendo sempre più, con effetti distorsivi sull’equilibrio dei poteri (e sulle condizioni di diritto dei cittadini, va detto).

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Il politologo ha ragione da vendere, anche se si limita a prendere in considerazione i pronunciamenti in materie economiche e sociali, trascurando ad esempio il modo in cui in Italia è stata esercitata l’azione penale, spesso persecutorio, nonché le ingerenze controverse su tematiche bioetiche – quelle attorno a cui maggiormente si addensano diritti, desideri o pretese dei cittadini – che avrebbero completato il quadro di un’invasione di campo che data da lungo tempo. Bisognerebbe poi tener conto anche delle contraddizioni, come quella rappresentata dalla non ammissione del referendum sulla legge Fornero proposto dalla Lega, salvo poi cassarne aspetti fondamentali con una sentenza assunta peraltro senza maggioranza. Si ha la sensazione che la magistratura abbia una volontà più o meno consapevole di sostituirsi alla sovranità popolare, esercitando una sorta di tutela di interessi sociali che dovrebbero trovare la loro espressione nel conflitto e nel confronto politico e sindacale.

Questo fenomeno è irreversibile? La politica è destinata a perdere il suo diritto e dovere di operare scelte tra diverse opzioni, chiusa nella duplice camicia di forza dei controlli sovranazionali e della ingerenza giuridico-giudiziaria? Fosse così la disaffezione alla politica, lo dice anche Belardelli, sarebbe destinata a estendersi, creando una sorta di meccanismo perverso che logora il sistema democratico, passando a quella “post democrazia” che consiste di fatto in una revisione in senso oligarchico del sistema dei diritti politici. E’ interessante che questa coscienza della pericolosità della “judicialization of politics”, che in Italia sì esprime soprattutto nel giustizialismo, e dei suoi effetti maligni trovi spazio sulla grande stampa di opinione, finora sostanzialmente chiusa nei meccanismi del circuito mediatico giudiziario. Solo quando questa consapevolezza sarà diventata senso comune ci saranno le condizioni per apportare i correttivi istituzionali necessari. Al di là di qualche limite nell’ambito delle questioni affrontate, l’articolo di Belardelli è un contributo in questa direzione.

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