"Dopo i lupi solitari arriveranno le bande Ma non ci batteranno"

È il capo della sezione antiterrorismo di Milano, è l'unica donna ad aver frequentato l'Accademia dell'Fbi. E spiega la nuova frontiera jihadista

Paola Fucilieri - Ven, 24/07/2015 - 08:13  Il Giornale

Milano - Quella di Cristina Villa è decisamente una bella testa. E in questura se ne sono accorti visto che, come capo della Sezione antiterrorismo della Digos di Milano, ricopre il ruolo senza dubbio più delicato e difficile del primo ufficio politico d'Italia.

La dottoressa Villa non ama parlare di sé, del suo lavoro ed evita le interviste appena può, con l'abilità tipica delle persone molto riservate che ritengono di aver «semplicemente goduto di opportunità pazzesche» ma di essere «normalissime». Tuttavia le inchieste di cui è stata protagonista insieme alla sua squadra investigativa e alla Procura di Milano - che hanno portato, per intenderci, all'arresto a Inzago della famiglia di Maria Giulia Sergio in partenza per la Siria e alla cattura, a Brescia, due giorni fa, di Bikri e Wassad, un tunisino e un pakistano determinati a compiere azioni terroristiche in Italia per conto del Califfato - le impongono, almeno per qualche morso, di finire in pasto alla bestia mediatica. Senza contare che la «normalissima» Cristina Villa dal 2011 è l'unica donna in Italia ad aver frequentato l'accademia dell'Fbi di Quantico, Virginia (sì, quello del film « Il silenzio degli innocenti ») un corso di specializzazione di tre mesi.

E, dopo gli arresti dell'altro ieri almeno qualcuno avrà voluto farle sapere che Bikri e Wassad, dalle intercettazioni, sembrano due ingenui farneticanti, insomma due fessi...

«Sono tutti innocui perché li arrestiamo prima che agiscano. Il pakistano, ad esempio, era in grado di anonimizzare i telefoni. E il tunisino voleva mettere in atto qualcosa di molto simile a quel che ha fatto in Francia il nordafricano che ha usato il furgone della ditta per cui lavorava per entrare in un'altra società senza problemi, attaccare un impianto del gas e decapitare un uomo».

È vero che la forza del Califfato è proprio questa, la semplicità dell'approccio?

«Certo. Hanno creato una serie di manualetti di 50 pagine ciascuno, The black flags series (La serie delle bandiere nere , ndr), scritti con un linguaggio semplicissimo e veloci da leggere. Poi magari noi due non riusciamo, così, a fare una molotov. Ma dopo aver letto il manuale possiamo provarci e farcela. Niente a che vedere, per intenderci, con il manuale concettuale del terrorista fai da te di Al Qaida, 1000 pagine infarcite di concetti filosofici e religiosi. E poi l'Isis vuole essere uno stato, non solo un popolo in guerra. Ha creato province che amministra, ha una moneta. È riuscito là dove Al Qaida ha fallito. E sviscera una comunicazione diretta, accattivante, concreta e con un'evoluzione rapidissima, che spinge molti a convertirsi on line se lo desiderano, magari approfondendo gli aspetti di certi predicatori radicali che professano teorie non ortodosse. E poi facendo gruppo con chi la pensa come loro».

Riuscirà a metterci al tappeto, quindi? Dobbiamo rassegnarci ad avere paura?

«Assolutamente no. E le indagini che abbiamo fatto lo dimostrano. Qui nei nostri uffici in questo senso si studia parecchio. Soprattutto su internet. Ed è avvincente cercare di superare anche certi blocchi tecnologici che molti di questi nuovi terroristi, come appunto l'esperto pakistano arrestato tre giorni fa, sanno attuare, organizzando magari pedinamenti più intensi o qualche telecamera in più se la situazione lo richiede. Il pakistano ci ha bloccato il telefono? Mettiamo un'ambientale sull'auto del suo amico. Che appena si accorge che potremmo trovare la macchina di cui ha mostrato il cruscotto in un tweet, la vende. E via di seguito. È una sfida continua dal punto di vista investigativo».

Come spiega però che tanti ragazzi, anche istruiti e intelligenti, partano per la Siria?

«Lo stato sociale non è l'unica molla, almeno per i giovani. In Siria ti offrono la casa, denaro, è vero, ma è bottino di guerra, un introito che arriva fino a quando aderisci totalmente al loro credo. Altrimenti c'è la morte. E nessuna possibilità di tornare indietro, di cambiare idea. I ragazzi che partono sono giovani che ritengono di avere poche possibilità di far parte di qualcosa d'importante nella società occidentale. E che là si vedono con un preciso ruolo nella società, un'identità da protagonista, quella del mujaheddin, uno che conta in questa epoca, che può apparire su YuoTube. E che detiene la verità assoluta. Non dimentichiamo che i musulmani radicali non hanno dubbi: tutti torneranno all'Islam, religione perfetta».

Quando parla di evoluzione rapidissima del Califfato cosa intende?

«Quello che vale oggi per l'Isis nel 2016 sarà sorpassato. Sono, ad esempio, già in fase di superamento della figura del combattente solitario per organizzarsi in piccole bande, come criminali».

Categoria Italia

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