Esodati, riprotetti

e deportati: la miseria morale del nostro linguaggio di menzogna

di Giuliano Ferrara | 30 Agosto 2015 Foglio

Vorrei scherzarci su ma non è facile. In un periodo come questo, con milioni di siriani in fuga dopo la mancata guerra di Obama e Papa Francesco (i profughi della famigerata impresa afghana o irachena furono al confronto una manciata, vero?), dopo la ridicola drole de guerre della Nato in Libia, con le frontiere sconvolte, l’ecatombe per acqua o nelle camere a gas dei camion, le parole sociologiche tra noi leggere cadono: ieri era “esodati” per la legge Fornero e “riprotetti” per i tour di compagnie aeree in disarmo, grottesche tragedie nazionali che si prolungano adesso con i “deportati”, i vincitori di cattedra a tempo indeterminato che preferiscono stare vicino casa. Ma ci rendiamo conto di quanto il nostro linguaggio rifletta la nostra cinica miseria, che non è la “crisi umanitaria” di paesi ricchi, Grecia compresa, ai quali si aggrappano folle scalze e lacere di veri miserabili, bensì l’ideologia posticcia e mediatizzata del disagio sociale come insulso tormentone? Eppure usiamo impudichi quelle parole e ci sottomettiamo a quelle metafore rognose senza che alcuno ricordi come l’esodo, la disperata mancanza di protezione e la deportazione sono una cosa seria, vera, crudele, che si svolge in mare e nei Balcani sotto i nostri occhi untuosi e misericordiosi a chiacchiere, i nostri occhi di esodati, riprotetti e deportati che chiedono tutto allo stato assistenziale su cui peraltro sputano ogni giorno.

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Di fronte al rifiuto di trasferirsi per lavorare e produrre reddito sicuro si stanno escogitando soluzioni degne di noi e della nostra epoca. Il governo emana circolari per traformare in supplenti a tempo indeterminato coloro che non vogliono essere “deportati” da Napoli a Pordenone: il posto è tuo, d’accordo, ma ti consento, per evitare che ti trasferisca al nord dove c’è fame di insegnanti, di restare a fare supplenza inutile dove di quel posto non c’è bisogno. Il sindaco di Bari intende compassionevolmente mobilitare risorse ingenti per agevolare i viaggi della speranza ad alta velocità: integrazioni per l’affitto, trasporti gratuiti e chissà cos’altro. Che cosa non si fa per evitare il dramma immaginario della deportazione. Forse bisognerebbe dire a chi ha vinto la cattedra e non vuole occuparla fuori sede: va bene, rinunci all’assunzione, avanti un altro di quelli che hanno più bisogno di te e sono disposti a trasferirsi. Ma no, sarebbe un ragionamento crudele, ecoinsostenibile, nell’ambiente degli esodati, riprotetti e deportati. Meglio una circolare interpretativa o un aiutino di Regioni che sono con i bilanci al collasso, ché tanto quindicimila posti resteranno comunque vacanti nella “più grande assunzione della storia” che i sindacati avrebbero voluto almeno doppia se non tripla.

Alla fine la Merkel lo ha detto, “vigliacchi!”, a quelli che assediano i campi profughi per rimandarli a casa a calci nel culo, come dice Salvini. E in un batter d’occhio ha annesso all’umanitarismo tedesco, saltando a pie’ pari il Trattato di Dublino, l’intera fuga siriana dalla guerra e dalla miseria. E perfino il consenso popolare non le è mancato, una volta ribellatasi agli impresari della paura. Si troverà qualcuno, nella classe dirigente italiana, in grado di spiegare a migliaia di riottosi del lavoro la differenza tra deportazione e trasferimento?

Categoria Italia

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