La morte di Ingrao. Napolitano: “Avevamo le stesse passioni, lasciate per gettarci nella politica”

Il ricordo del Presidente emerito della Repubblica che fu suo avversario: «Una persona di assoluta limpidezza morale, mai un interesse personale»

Newsletter 28/09/2015  MARIO CALABRESI La Stampa

«Sono scosso emotivamente da un evento che, anche se non si può definire inatteso, per me resta molto doloroso». Dieci anni di età dividevano Pietro Ingrao e Giorgio Napolitano, insieme a molte battaglie politiche su fronti opposti, ma quando il Presidente emerito della Repubblica riceve la notizia della morte dello storico esponente comunista nella sua voce si sente la sofferenza per la scomparsa di quello che a lungo è stato un suo compagno di partito.

Ricorda il vostro primo incontro? 

«Io e Pietro Ingrao ci siamo conosciuti nel luglio del 1948 al Policlinico di Roma dopo l’attentato a Togliatti. Il leader del Pci era uscito dalla sala operatoria e c’era un pellegrinaggio in ospedale, quello fu il momento in cui ci incontrammo per la prima volta. Il nostro rapporto si intensificò quando cominciai a occuparmi del Mezzogiorno: la questione meridionale era uno dei temi che aveva più a cuore e proprio su questa cominciammo a discutere e a confrontarci».

Prima di parlare delle storiche divisioni politiche tra voi, le chiedo: cosa più vi accomunava? 

«Potrei dire la biografia. Certo tra noi c’erano dieci anni di differenza, però era molto simile il cammino fatto da giovanissimi, che non si nutriva di politica ma di cultura: soprattutto di cinema per lui e di teatro per me, e poi la poesia. I poeti che lui citava erano gli stessi che amavo leggere io, in modo particolare Montale, Ungaretti e Quasimodo. Abbiamo avuto le stesse letture e le stesse passioni che poi abbiamo dovuto lasciare alle spalle per gettarci nelle contese della politica».

Il momento di maggior divisione? 

«La più aspra polemica tra noi fu alla vigilia dell’XI congresso del Pci nel 1966, due anni dopo la morte di Togliatti. La scomparsa di un leader che aveva garantito una guida unitaria aprì una stagione nuova in cui emersero posizioni apertamente conflittuali». Napolitano si ferma all’improvviso e resta in silenzio per alcuni secondi: «Mi fa impressione pensare che sono passati quasi cinquant’anni da quel momento, mezzo secolo ci divide da quella stagione di scontro e oggi mi fa piacere ricordare che l’amicizia tra noi non è mai venuta meno, non è mai stata scossa dalle divergenze, e comunque non ci fu mai più virulenza politica paragonabile alla stagione del dopo Togliatti».

Qual è il suo giudizio sulla vita politica di Ingrao? 

«È un giudizio che va dato su un’intera generazione non solo di comunisti ma di politici che avevano un forte retroterra ideale e intellettuale, che arricchivano di continuo la loro conoscenza politica con l’elaborazione culturale. Ingrao è stato un uomo di assoluta limpidezza morale, non ha mai combattuto battaglie per interessi o ambizione personale». 

Nessuna critica? 

«Ci furono momenti in cui manifestò una certa tendenza schematica nell’analisi e nelle conclusioni, gli imputavo di non avere sufficiente duttilità, ma sono cose su cui non si può tornare con slogan passati».

E che ricordo ne ha come presidente della Camera, incarico che ricoprì dal 1976 al ’79? 

«Fu assolutamente impeccabile, compreso nel suo ruolo e nella responsabilità che aveva assunto, un vero uomo delle Istituzioni. Dimostrò di avere grande polso e quando ci furono il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro tenne una linea di condotta esemplare. Quando poi toccò a me occupare lo stesso posto a Montecitorio ebbi da lui un magnifico ed esemplare sostegno».

Che idea aveva delle istituzioni? 

«Fu sempre un forte fautore di un rinnovamento istituzionale e fu un fermo e convinto sostenitore del monocameralismo, anche durante la preparazione dei lavori per la commissione Bozzi spinse il Pci ad avere l’idea di una sola Camera come posizione di principio e di partenza».

La sua opposizione alla svolta di Occhetto che peso ebbe nella scissione che portò alla nascita di Rifondazione? 

«Non penso che lo si possa considerare tra i promotori di Rifondazione comunista, Ingrao certo non si sentì di avallare il superamento del Pci, e questo fu anche un suo limite, ma non era uomo da scissioni, anche se poi in solitaria uscì dal Pds per aderire a Rifondazione».

Quando vi siete visti l’ultima volta? 

«L’ultima volta che ci siamo incontrati di persona fu certamente a Montecitorio, mentre l’ultimo messaggio che ho ricevuto da lui me lo ha portato sua figlia Chiara dopo che nel marzo scorso gli mandai un telegramma per festeggiare i suoi 100 anni, era lucido e mi ringraziava con affetto».

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