W la disuguaglianza

Perché la Rai di Campo Dall’Orto dovrebbe leggere Deaton, non Piketty

di Claudio Cerasa | 25 Ottobre 2015 ore 10:00

 “Mettere fine alla disuguaglianza è la sfida più importante della nostra epoca”

Barack Obama

 “La disuguaglianza è la radice dei mali sociali”

Papa Francesco

Se fosse stato un simpatico progressista spettinato, salottiero, mondano, con una bella parlantina alla Gramellini e con il tasto retweet pronto a rilanciare i post di Piketty, i cinguettii del Papa, gli editoriali di Krugman, i libri di Iglesias e le parole di Obama oggi nessuno di voi sarebbe costretto a cercare su Wikipedia chi diavolo è il dottor Angus Deaton. Eppure, tu guarda che sorpresa, questo economista scozzese classe 1945 che nessun Fabio Fazio e nessun Michele Santoro inviterebbe mai nei suoi studi televisivi ha vinto lo stesso premio che qualche anno fa andò all’eroe del mondo moderno, sua eccellenza Paul Krugman, e che solo per un accidente della storia, dannazione, non è andato invece quest’anno al compagno Piketty: il Nobel per l’Economia.

I lettori del Foglio hanno avuto modo di leggere molto su Deaton ma a voler tirar fuori alcuni degli scritti del prof. scozzese si capisce bene perché l’Economista Collettivo stia provando in tutti i modi a dimenticare che il più importante economista del mondo oggi è un signore che con le sue tesi ha smontato punto per punto il grande cavallo di battaglia dell’internazionale dei Piketty, con tutte le varie declinazioni della tesi che, signora mia, la disuguaglianza è il vero male della nostra epoca e che, signora mia, essendo inaccettabile che l’un per cento della popolazione mondiale sia più ricco del restante 99 per cento bisogna tassare quei maledetti furfanti per farli pagare e soprattutto per fargliela pagare.

Andare contro il pensiero unico non è semplice e trovare in giro qualcuno che sia capace di sostenere che la disuguaglianza è un ingrediente del progresso non è facile. Ma il premio Nobel lo ha fatto, e lo ha fatto alla grande, e anche se in prima serata è certamente più comodo giocare con la retorica dell’Occupy Wall Street la tesi di Deaton è formidabile e la si trova ben descritta in un volume da poco pubblicato in Italia dal Mulino – “La grande fuga” – che l’amministratore delegato della Rai Antonio Campo Dall’Orto dovrebbe cominciare a distribuire a tutti i suoi conduttori. Deaton sostiene che la disuguaglianza è un’ancella dello sviluppo e che il progresso, il capitalismo e la modernità non sono il problema del mondo in via di sviluppo ma la soluzione a molti dei suoi mali. Uno scandalo assoluto per l’Economista Collettivo che colleziona dichiarazioni di Obama, tweet di Papa Francesco, post di Krugman, interviste di Piketty e che probabilmente non si è ancora accorto che dal 2011 al 2013, come registrato qualche tempo fa sul Wall Street Journal dall’analista Matthew Schoenfeld, i cinque paesi che hanno registrato il maggior livello di disuguaglianza sono quelli che sono cresciuti cinque volte più velocemente degli altri.

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Consigliamo dunque caldamente ai conduttori della Rai di Campo Dall’Orto “La grande fuga” di Deaton e non sarebbe male che per non morire di pensiero unico chi guida il servizio pubblico dia un’occhiata a un libro formidabile segnalato su questo giornale qualche giorno fa da Marco Valerio Lo Prete. Si chiama “On inequality”, lo edita la Princeton University Press, lo ha scritto il professore di Filosofia di Princeton Harry G. Frankfurt, e la tesi è semplice: la sfida più importante della nostra èra non è costituita dal fatto che i redditi sono molto disuguali tra loro ma è legata al fatto che troppi fra di noi sono poveri. “L’uguaglianza economica non è un ideale moralmente convincente e la preoccupazione per il presunto valore intrinseco dell’uguaglianza economica tende a distogliere l’attenzione di una persona, allontanandola dal tentare di scoprire quello che gli sta veramente a cuore, quello che davvero desidera o di cui ha bisogno, e quello che gli darà realmente soddisfazione”.

L’internazionale dei Piketty, imparentata stretta con la dottrina Obama-Francesco, sostiene, con una curiosa consonanza con i teorici della decrescita infelice, che, in assoluto, senza uguaglianza non ci sia libertà, e lo fa più o meno con la stessa convinzione e le stesse argomentazioni di chi crede che i luoghi più vivibili del mondo siano quelli in cui vi è una natura incontaminata, non deturpata cioè dall’intervento dell’uomo e dall’azione spregiudicata del Dio Denaro e della Dea Industria. La grande accusa nemmeno troppo implicita che si nasconde dietro la retorica sulla disuguaglianza è che questo sistema capitalistico è orrendo, ingiusto, iniquo e senza un’urgente iniezione di siero socialista a vocazione patrimoniale il destino del mondo è lo sfascio, la distruzione totale.

Fabio Fazio e i suoi cugini della cumpa della decrescita infelice potranno pure continuare a divertirsi con queste tesi ma prima o poi qualcuno dovrebbe ricordare loro non tanto il solito Olof Palme (“Noi democratici non siamo contro la ricchezza ma contro la povertà. La ricchezza, per noi, non è una colpa da espiare, ma un legittimo obiettivo da perseguire. Ma la ricchezza non può non essere anche una responsabilità da esercitare”) quanto semplicemente che in questo mondo di merda nel 2015, per la prima volta, come ha riconosciuto a fine settembre il presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim, la proporzione di popolazione planetaria che vive in condizioni di estrema povertà scenderà entro il 2015 sotto la soglia del 10 per cento del totale. Lo dicono i dati: nel 2012, erano 902 milioni le persone che vivevano con meno di 1,25 dollari al giorno (il 12,8 per cento della popolazione della Terra); oggi sarebbero invece in 702 milioni a vivere con meno di 1,90 dollari al giorno (il 9,6 per cento).

Forse non è un errore sostenere che la disuguaglianza sia alla radice dei mali sociali (è ovvio che occorra sempre una giusta misura). Ma, come dimostra un signore che si chiama Deaton e che incidentalmente dal punto di vista accademico vale non meno del compagno Piketty, la disuguaglianza non è in assoluto indice di un imminente disastro del mondo ma è spesso indice di un universo che sta crescendo. Un mondo dove il pil si distribuisce in modo diverso rispetto al passato, certo, ma dove, esattamente come la democrazia, vale ancora oggi un principio da scolpire sulla pietra: il capitalismo, anche quello con il turbo, anche quello che produce disuguaglianze, è il peggiore sistema sociale ad eccezione di tutti gli altri.

Categoria Italia

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