Quanto grillismo c’è in Matteo Renzi?

Non molto, ma qualcosina sì. Il metodo Cantone e il populismo penale, più che l’accordo sulla Consulta. E poi l’approccio sulle banche (commissione di inchiesta) e i precedenti del caso Boschi. Occhio al moralismo, bellezza

di Claudio Cerasa | 18 Dicembre 2015 ore 06:18 Foglio

L’accordo sulla Consulta. Il caso Cantone. Le banche. La commissione d’inchiesta. Se il governo Renzi fosse un corpo sottoposto a un prelievo del sangue, oggi i risultati delle analisi consegnerebbero al paziente un valore sospetto, legato alla presenza anomala di un globulo particolare: quello grillino. Da un po’ di tempo a questa parte, sono molti gli organismi politici presenti in Italia che consegnano con frequenza ai laboratori di analisi piccoli campioni di sangue macchiati dalla presenza del globulo grillino. Ma se quel valore sospetto riguarda il corpo di chi ha fatto della lotta contro l’epidemia grillina un proprio e formidabile cavallo di battaglia (Renzi) vale forse la pena di andare a fondo per capire la natura della presenza anomala. Da questo punto di vista, l’accordo con il Movimento 5 stelle sulla terna di giudici per la Consulta c’entra fino a un certo punto anche perché, per quanto possa sembrare paradossale, l’effetto dell’accordo con Grillo non avrà l’effetto di migliorare i rapporti con il Movimento 5 stelle (che voteranno la mozione di sfiducia a Boschi) ma avrà forse l’effetto di far avvicinare al partito di governo quei parlamentari di Forza Italia convinti che i non accordi con il Pd, da parte di Forza Italia, sono un problema solo per Forza Italia e non certo per il Pd. Il punto in questione non riguarda dunque l’approccio alla politica delle alleanze ma riguarda piuttosto l’approccio alla risoluzione di quei problemi quotidiani che colpiscono profondamente la sensibilità dell’opinione pubblica, e nei confronti dei quali il governo Renzi si muove spesso facendo leva su un’arma pericolosa, profondamente infettiva e ad alto tasso di grillismo: il populismo penale. L’esempio plastico dell’uso della leva penale per risolvere i problemi di governo è l’assegnazione continua e ormai sistematica di poteri al grande e amato moralizzatore d’Italia, ovvero il magistrato Raffaele Cantone. Ieri il presidente del Consiglio, dopo avergli affidato il compito di guidare l’Autorità anti corruzione d’Italia, trasferendo nelle sue mani anche una serie di competenze indirette che hanno un impatto quotidiano sulla politica industriale di alcune aziende finite nel mirino dell’Anac, ha assegnato al magistrato napoletano il compito di gestire gli arbitrati per gli obbligazionisti secondari, “quelli truffati davvero”, colpiti dal crac delle quattro banche popolari. Se c’è un problema, prevede il codice di comportamento del globulo grillino, quel problema affrontalo affidandoti alla purezza della magistratura. L’uso sistematico del metodo Cantone (pur essendo Cantone, culturalmente, tutto il contrario di un grillino) è il riflesso di un atteggiamento diffuso nella grammatica renziana. E non è raro che il presidente del Consiglio di fronte a casi che colpiscono profondamente la famosa pancia del paese – dagli omicidi stradali al terrorismo passando per la corruzione – tenda a offrire sistematicamente una ricetta standard: o più Cantone per tutti o, ancora più semplice, più pene per tutti (formula che non a caso incrocia spesso l’approvazione del Movimento 5 stelle). Già, ma con quali conseguenze? Vediamo.

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Il caso più recente e surreale di adozione del metodo “più pene per tutti”, oltre alla tagliola introdotta ad aprile sugli ecoreati (con voto del Pd e del M5s), lo si è registrato qualche settimana fa alla Camera quando il Parlamento ha approvato modifiche al codice antimafia estendendo a una serie di reati contro la Pubblica amministrazione l’ambito di applicazione delle misure preventive, sia personali che patrimoniali, previste per la lotta alla mafia, limitando i diritti di libertà personale a chi è solo sospettato di aver commesso un reato (colpevoli fino a prova contraria, oh yes). Gli esempi da fare su questo terreno potrebbero essere molti ma senza dover andare a scavare troppo negli archivi di questa legislatura è sufficiente tornare ai nostri giorni e allargare l’obiettivo della nostra cinepresa alla storia esemplare delle banche popolari, che Renzi ha scelto di risolvere non solo affidando tutto il potere a Cantone ma anche invocando la necessità di verificare gli errori commessi dalle autorità e dalle stesse banche attraverso la formazione di una commissione parlamentare d’inchiesta: un organo parlamentare che dal punto di vista normativo ha gli stessi poteri della magistratura ordinaria e delle magistrature speciali. In questo caso, oltre al dato culturale, l’approccio da populismo penale (commissione più Cantone) aiuterà di certo a osservare con più serenità i sondaggi ma ha un risvolto pericoloso: trasformare un caso tutto sommato circoscritto, quello delle banche popolari, in una grande emergenza nazionale (nella storia della Repubblica le commissioni parlamentari d’inchiesta su affari legati alle banche sono state convocate in presenza di fatti per così dire di sistema, Parmalat e crac Ambrosiano, e dare l’impressione che il caso delle banche popolari sia un caso sistemico, risolvibile solo da una divinità come Cantone, rischia di essere un pericoloso boomerang).

La presenza periodica nell’emocromo renziano di una piccola dose di globuli grillini affonda le radici già all’inizio di questa legislatura, ai tempi del governo Letta. In quell’occasione, i risultati anomali delle analisi del sangue si manifestarono attraverso la richiesta di dimissioni, per questioni di “opportunità”, rivolta dai renziani al ministro Cancellieri per una telefonata considerata fuori luogo con la famiglia Ligresti. Il moralismo puro e spregiudicato non è una costante del renzismo, grazie al cielo, ma è il cuore dell’approccio del populismo penale. E oggi che un ministro importante del governo Renzi, Maria Elena Boschi, si trova a testare sulla propria pelle l’effetto degenerativo del globulo grillino – la richiesta di dimissioni per ragioni di opportunità, moralismo al cubo – è comprensibile indignarsi contro l’approccio del Movimento 5 stelle. Ma una volta smaltita la rabbia, e incassata con ogni probabilità la non sfiducia, bisognerebbe guardarsi allo specchio, e dirselo con sincerità: è il moralismo, bellezza, e tu non ci puoi fare niente – se non rottami una volta per tutte il 

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