Viva i leader a tempo determinato

Renzi rottama l’èra dei capi eterni. E noi degli anni 50 godiamo

di Giuliano Ferrara | 30 Dicembre 2015 ore 06:18 Foglio

Prima sono nato io, nel 1952, poi è nato Nanni Moretti, l’anno dopo, l’anno dopo ancora Michele Serra, e dopo quattro anni ancora nacque Alessandro Baricco. Ammetterete che questo incipit è degno (o indegno, fa lo stesso) di un romanzo come Tristram Shandy o David Copperfield. L’Espresso si domanda, sulla scia di un incazzatissimo Roberto Saviano, perché l’opposizione a Renzi, che ha molto in comune con Berlusconi, è delegata a venerabili del calibro di Zagrebelsky e Rodotà, vecchia guardia antiberlusconiana, mentre la giovane guardia dei girotondi ha disertato la nuova missione accampando confusione o distacco. Sebbene ciascuno abbia una storia personale, personalissima e inspiegabile la mia, sopra tutto a me stesso, è chiaro che chi appartiene alla prima metà del secolo scorso è attaccato alle radici ideologiche del Novecento con passione inestinguibile, mentre chi è nel novero dei nati nella seconda metà, più o meno disinvolto che sia, più o meno politico come attrezzatura e cultura, non ha voglia di piétiner sur place, pestare l’acqua nel mortaio. Saviano ha trentasei anni, chi ne ha avuto irresponsabile cura nel tempo dell’ascesa lo avrebbe visto volentieri al posto di Renzi, il suo destino naturale è fatto di emulazione e passione, con un pizzico di banale e ossessiva ignoranza che spiega tutto il rancore.

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La questione generazionale è per sua natura povera, dice e non dice, fa schermo ad altre ipotesi, in un certo senso è anche categoria o concetto dei più detestabili per un gentiluomo: ma c’è. L’ossessione dei nostri padri fu di non morire democristiani. La gioia di noi agnostici e benevoli piccini degli anni Cinquanta è che non moriremo renziani, se la salute e la Madonna ci accompagnano. Renzi continua a ripetere che, se vincerà le elezioni del 2018, farà una doverosa seconda legislatura al governo e poi se ne andrà a lavorare nel privato, non ricoprirà più cariche pubbliche. Se non è una rivoluzione questa. E’ un super-articolo 18. E’ più della fine del bicameralismo paritario. La mentalità italiana è simpaticamente diffidente. All’epoca, confidando che tutto vada non bene, benissimo, Renzi avrà quarantotto anni. Un’età da non credere alla sua disponibilità a mollare per una sana e onorevole staffetta. Ma io ci credo, gli credo, me ne fido. Ogni volta che lo ripete gli manderei un bacino. La mia Europa è stata costruita dagli eterni, supereroi come Churchill, De Gaulle, vilains come Francisco Franco, longevi pertinaci come Mitterrand, Kohl. L’Italia della Repubblica è cresciuta sotto la tutela di leader transgenerazionali come De Gasperi, Togliatti, Moro, Fanfani, Andreotti, Pannella, e perfino la piccola coda di un D’Alema o di un Veltroni ebbe, con tutto il rispetto, il crisma dell’interminabilità. Berlusconi poi è un fuoriclasse, sembra sempre in procinto di entrare in politica dopo un dominio ventennale, lui che in politica sul serio non è entrato mai, e ha prodotto risultati politici di prim’ordine, fino alla generazione inaspettata di un erede a sinistra. Le faccende generazionali hanno i loro bei paradossi. E io godo, come diceva Totò.

Quando il boy-scout dice che il suo, il loro, è uno stile anglosassone, ecco, mi sento vendicato. Non so bene di che cosa, ma mi sento vendicato. E come liberato da un’ipoteca, tra un referendum costituzionale e un ballottaggio. Può essere che vada altrimenti. Che la spuntino i gufi famosi. Che la ripartenza del paese e un nuovo equilibrio in Europa saltino sulle mine dell’economia o della sicurezza. Ma fino a che questo non sia accaduto, benché not in my name, vivrò felice occupandomi principalmente d’altro. Ho più tempo libero di una volta e, come vi ho detto altrove, sono stufo di perdere tempo, delle perdite di tempo. Ho molta musica da ascoltare, molti libri da leggere, qualche articoletto da scrivere, e molto amore da coltivare.

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