Perché il Pd non ha futuro se non si trasforma in Partito della nazione. Parla Angelo Rughetti

“Il Pd è il pezzo fondamentale della politica di centrosinistra, ma se limita le sue politiche e la sua comunicazione agli elettori di centrosinistra non riusciremo mai a vincere le elezioni”, ci dice il sottosegretario alla Pubblica Amministrazione. Il cammino del Partito democratico tra amministrative e referendum

di David Allegranti | 04 Febbraio 2016 ore 10:24 Foglio

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Roma. “Il Pd è il pezzo fondamentale della politica di centrosinistra, ma se limita le sue politiche e la sua comunicazione agli elettori di centrosinistra non riusciremo mai a vincere le elezioni”. Angelo Rughetti, sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, vede alcuni rischi sul cammino del Pd nei prossimi mesi, tra amministrative e referendum (senza dimenticare le future Politiche, per ora collocate nel 2018). Tra questi, il tentativo della sinistra interna di sfasciare più o meno silenziosamente il progetto riformista del Pd. “Di questo tema – dice Rughetti al Foglio – dobbiamo discutere con Sel, con Sinistra italiana e anche con la nostra sinistra interna. Come dice giustamente Renzi, dobbiamo avere i piedi e le radici nel centrosinistra, ma parlare a tutti gli elettori. Dunque non capisco le polemiche nate al nostro interno sul Partito della Nazione. Se per PdN si intende l’allargamento del Pd, non va bene perché è uno svilimento e così non può essere. Ma quando noi diciamo che il Pd è il Partito della Nazione, intendiamo sostenere che dipende dalla nostra responsabilità portare avanti le riforme che salvano il Paese dal populismo becero grillino o dalla marmellata squagliata del centrodestra. Per questo non ci può essere un elettorato pre-costituito cui rivolgerci”.

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Per Rughetti ci sono almeno due temi chiave su cui si può lavorare con questo schema. Il primo è il mercato del lavoro. “Abbiamo fatto politiche che sono andate in senso diverso rispetto a quello della sinistra tradizionale e lo abbiamo fatto mettendo sullo stesso piano lavoro e impresa. Non c’è stata una visione ideologica, ma realista. Se avessimo dovuto interpretare un ruolo da sinistra trinariciuta staremmo ancora rincorrendo i diritti formali dei lavoratori con la conseguente sclerotizzazione del mercato del lavoro”. Secondo tema, le unioni civili. “Le unioni civili non vanno lette in uno schema destra-sinistra o rivoluzionari-reazionari. Ci sono una serie di fatti che già accadono nella nostra società, ai quali noi dobbiamo dare solo una veste giuridica. L’idea del partito che si pone davanti alla società e indica la strada è finita. Oggi il partito e la politica devono mettersi a fianco della società, accompagnandola e preoccupandosi meglio di fatti che pongono domande serie”. In particolare, sulla questione della stepchild adoption Rughetti ha un’idea precisa. “Attraverso di essa si introduce in modo surrettizio l’utero in affitto. Per questo io sono favorevole alla posizione portata avanti da un pezzo del Pd, cioè da Alfredo Bazoli, che fra le altre cose vuole introdurre un tempo di verifica sugli effetti dell’adozione nel bambino. Su questo tema, deve essere chiaro che l’interesse primario da tutelare non è quello della coppia - sia essa omo o eterosessuale - ma del bambino”.

Rughetti, ma nel PdN c’è spazio anche per Denis Verdini e i suoi? “Verdini fa il suo mestiere, è un uomo politico, ha un suo progetto, anche se ancora confuso, e lo porta avanti. Finché siamo nel campo delle riforme costituzionali, i voti di Verdini fanno parte di una dialettica politica che riguarda i diritti dei cittadini. E non me ne stupisco, visto che in questa legislatura siamo partiti con le larghe intese e con il patto del Nazareno. La nostra cultura politica ci porta ad allargare il consenso sulle riforme, specie quando ci sono le regole del gioco da stabilire. E’ chiaro però che se si arrivasse alla condivisione di un programma politico e quindi all’allargamento della maggioranza e del governo, tutto questo meriterebbe una discussione politica dentro il Pd e dentro la maggioranza. A quel punto non sarebbe più un fatto di politica istituzionale, ma riguarderebbe le politiche di governo e il dibattito dovrebbe essere trasparente”. Rughetti rivolge dunque un appello alla sinistra, anche a quella interna, in vista delle prossime amministrative: “Noi sosteniamo Massimo Zedda a Cagliari, dunque la sinistra mi dovrebbe spiegare perché non sostiene il nostro candidato e che senso ha la candidatura di Stefano Fassina a Roma”. Una candidatura che per Rughetti “anticipa una divisione tra Pd e sinistra al referendum, ma che spero non anticipi anche un progetto alternativo al Pd. Roberto Speranza chiede di evitare che gli schieramenti referendari diventino politici ed elettorali. Ha ragione, ma lui deve stare attento, a furia di mettere puntini sulle ‘i’ alle azioni del Pd, a non provocare una forza motrice a sinistra che porti alla spaccatura. Evitiamo furbate: se la sinistra interna pensa che l’esperienza di questo Pd vada fermato, perché ci considerano degli usurpatori momentanei, lo dicano in modo chiaro, senza strumentalizzare le unioni civili o il jobs act”

Categoria Italia

Commenti

Mario Patrizio • 8 ore fa

Alla fine si parla di una proposta politica agli elettori, a tutti, non solo a quelli con una tessera. Discorso inaccettabile per gli ideologi innamorati dell'utopia. Il brillante articolo di Pellicani su Pareto, su questo giornale martedì, ha ricordato come per l'intellettuale Pasolini, il comunismo “era un paese pulito in un paese sporco, un paese onesto in un paese disonesto, un paese intelligente in un paese idiota, un paese colto in un paese ignorante, un paese umanistico in un paese consumistico.” Da amanti, generazioni di eredi hanno ceduto al potere dell'amore, perdendosi in una realtà che ha smesso di essere tale per diventare ciò che si desiderava fosse. Non ho trovato altra risposta alla domanda: ma come è stato possibile che una legione di intellettuali ha sostenuto e ancora sostiene la classificazione antropologica dell'umanità?

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guido valota  Mario Patrizio • 6 ore fa

Be', 'prima' quelli di una certa età vestivano camicie brune e nere e sostenevano il primato della razza ariana. Cambiato il vento, sequestrata la resistenza degli altri e vestita quindi la camicia rossa, restano antropologicamenti conseguenti nel distribuire patenti di superiorità e inferiorità, quindi direi che qualcosa di antropologia lo masticano da sempre. Lo squadrismo prima nero e poi rosso è il farsi branco - o gregge, a seconda delle propensioni personali - di esseri che individualmente non valgono abbastanza, esattamente all'unico scopo finale di sopraffare quelli che individualmente li superano. Tutto questo sforzo a sostenersi vicendevolmente nella pubblicistica, da Che tempo che fa ai premi Nobel umanistici passando per i premi letterari indigeni, i soviet sindacali nelle redazioni, la satira a senso unico con la bava alla bocca, si concentra in ultima analisi sulla difesa del dogma della loro superiorità antropologica. Però dovevano censurare la faccenda di Fantozzi e della corazzata per tempo. Se poi ci attacchiamo anche la difesa di milioni di posizioni nelle istituzioni, nel pubblico e nel partecipato, capirà che voglia abbiano di parlare a tutti gli elettori.

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Mario Patrizio  guido valota • 4 ore fa

C'è una cosa che mi ha imbestialito fino a farmi sragionare (qualche lettore che supera il secondo rigo dei miei commenti se ne sarà accorto), l'essere stato costretto a vivere (forse almeno da quarant'anni) dentro lo schema buoni-cattivi, giusti-ingiusti, solidali-egoisti, democratici (loro)-autoritari (chi voleva avvicinare il sistema alle democrazie occidentali) e, dentro lo schema, la guerra civile delle armate progressiste (sempre loro, quanti sono?) contro la corruzione, il conflitto d'interessi e per la legalità. Fino a trasformare la guerra in un mestiere molto ben remunerato.

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Giorgio Ippoliti • 8 ore fa

Per parlare con gli elettori non di centrosinistra, parlano, e poi bastonano con i fatti, da 2 anni oramai.

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