Bonus bebè anche agli stranieri

che abbia un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di famiglia. Il Tribunale di Bergamo, Sezione Lavoro (ordinanza del 14 aprile 2016)

Di Luca Insalaco Italia Oggi 20.4.2016

Il bonus bebè, previsto dalla Legge di Stabilità 2015, spetta anche allo straniero che abbia un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di famiglia. Il Tribunale di Bergamo, Sezione Lavoro (ordinanza del 14 aprile 2016) ha condannato l’Inps per avere escluso dalla prestazione sociale una lavoratrice immigrata residente in Italia da alcuni anni, ma non in possesso del permesso di lungo periodo, come previsto dalla Legge n. 190/2014. La pronuncia, la prima in Italia, apre di fatto la strada giudiziaria agli stranieri finora esclusi dal contributo economico.

La Legge di Stabilità riconosce il diritto di ottenere il bonus bebè ai cittadini italiani, comunitari e stranieri, purché titolari del permesso di soggiorno di lungo periodo. La norma, per il Tribunale di Bergamo, contrasta con la direttiva comunitaria 2011/98/UE, da ritenere direttamente applicabile nell’ordinamento interno senza necessità di una norma di recepimento. La citata direttiva impone la parità di trattamento tra i lavoratori stranieri e i cittadini dello stato europeo che li ospita per quanto riguarda il settore della “sicurezza sociale”. «Condizionare il riconoscimento del bonus bebè», si legge nell’ordinanza, «al possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo crea una disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri che, nel caso in cui questi ultimi siano anche “lavoratori”, viola la direttiva 2011/98/UE, che non prevede alcuna possibilità di deroga, né per le prestazioni non essenziali né per quelle essenziali».

L’Inps, pertanto, è stata condannata a cessare la condotta discriminatoria e a corrispondere alla ricorrente il bonus (quasi duemila euro l’anno) fino al compimento del terzo anno di età della figlia. La pronuncia ha una portata più ampia rispetto alla vicenda processuale in esame e rischia di mettere in difficoltà il Governo, esponendo il Paese al rischio di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea. A questo occorre aggiungere che nel settore della “sicurezza sociale” rientrano anche i trattamenti di maternità e paternità assimilati, nonché le prestazioni familiari. L’Inps, a questo punto, se non correrà ai ripari con una circolare in materia, sarà sommersa da una valanga di ricorsi.

Categoria Italia

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata