Economia e finanza, ecco perché Francesco è lontano anni luce da Benedetto XVI

Il ruolo del mercato nel mondo, la globalizzazione: rileggere la Caritas in veritate per accorgersi dei differenti punti di vista tra Bergoglio e Ratzinger

Papa Francesco e Papa Ratzinger (foto LaPresse)

di Michele Silenzi | 07 Agosto 2016 ore 06:24 Foglio

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L’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate, promulgata nel 2009 nel pieno della tempesta finanziaria, in cui l’analisi del ruolo dell’economia nel mondo è centrale, andrebbe riletta oggi alla luce del costante attacco portato da Papa Francesco nei confronti di tutto quello che può essere riconosciuto come un sistema capitalista e liberale. Nelle sue ultime dichiarazioni, il Papa ha paragonato il nostro modello economico al terrorismo, anzi, lo ha definito “il primo terrorismo” perché genererebbe le condizioni di disagio da cui poi si propaga il terrorismo armato (mai definito per quello che è, ovvero di matrice islamista). In Caritas in Veritate non c’è un’esaltazione del mercato o della concorrenza, siamo sempre all’interno della dottrina sociale della chiesa. Inoltre ci sono aspetti dell’enciclica che non farebbero felice un liberale, in particolare l’auspicato rafforzamento dello Stato come organo di giustizia sociale e redistributiva.

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Ma, come tutta l’opera di Benedetto XVI, anche questa enciclica è rivolta al modo in cui la fede e l’esperienza cristiana devono confrontarsi con una ragione che abita e si confronta con la realtà del mondo contemporaneo.In Caritas in Veritate si leggono dei giudizi lontani dalle dichiarazioni di Francesco. Ad esempio, quando Benedetto XVI parla del processo di globalizzazione, scrive “nato dentro i Paesi economicamente sviluppati, questo processo per sua natura ha prodotto un coinvolgimento di tutte le economie. Esso è stato il principale motore per l’uscita dal sottosviluppo di intere regioni e rappresenta di per sé una grande opportunità”. E ancora, riguardo allo sviluppo economico, “È vero che lo sviluppo c’è stato e continua ad essere un fattore positivo che ha tolto dalla miseria miliardi di persone e, ultimamente, ha dato a molti Paesi la possibilità di diventare attori efficaci della politica internazionale”.

Un discorso simile vale per il mercato, chenon è visto soltanto come il ricettacolo dei peggiori istinti umani in cui si compie lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, come dà a intendere Papa Francesco, e in cui il denaro è lo sterco del demonio. In Caritas in Veritate, anche Benedetto XVI condanna le storture e le devianze che talvolta appartengono alla nostra economia. Ma allo stesso tempo riconosce nel mercato una struttura che ha permesso di aprire maggiori possibilità ai paesi sottosviluppati, di far cadere le frontiere e di essere motore di una pacificazione sempre maggiore grazie alla sua capacità di unire e di far incontrare le diversità. Scrive Joseph Ratzinger che “il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri. La società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest’ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani”

Categoria Religione

Commenti

venzan • 3 giorni fa

I prelati della Chiesa dovrebbero occuparsi solo del benessere spirituale e etico-morale dei cristiani, e non certo del benessere materiale e consumistico di tutti i popoli, cui sono delegati i singoli Stati e altre istituzioni mondiali. Ad ognuno il proprio compito. Aggiungo anche che in tutto il mondo attualmente non si puo parlare di fame, come un tempo, perché adesso il pane non manca a nessuno.

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venzan • 3 giorni fa

I prelati della Chiesa non dovrebbero occuparsi di economia e finanza, un buon cristiano sa vivere bene e felice con poco, gli basta l'indispensabile che è il pane e un tetto.

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Giorgio Salzano • 3 giorni fa

"Quando si mette al centro dell’economia mondiale il dio denaro e non l’uomo, questo è già un primo terrorismo. Hai cacciato via la meraviglia del creato e hai messo al centro il denaro, è un terrorismo di base contro l’umanità”. Sic dixit Franciscus. Che vuol dire? Non lo so. E' un usare le parole per il loro effetto emotivo, a prescindere da una loro valenza concettuale ben precisa, che permette di ragionare. Non così con Benedetto XVI, che sempre, da vero spirituale, ha riconosciuto il valore della razionalità, analitica e sintetica. Purtroppo stiamo piombando nella palude del sentimentalismo, come unica alternativa alla razionalità strumentale - che non conosce altro che i nessi mezzo-fine, in cui i fini restano indeterminati, se non, appunto, sentimentalmente.

Il fatto è che la chiesa, anzi l'Europa tutta ed il resto del così detto occidente, non ha mai superato lo shock del passaggio da un'economia basata prevalentemente sulla proprietà immobiliare a un'economia basata prevalentemente sulla proprietà mobiliare: il così detto capitale. Basta passare in rassegna il pensiero "occidentale" dal Settecento a oggi: all'esaltazione illuminista del progresso si oppone la nostalgia romantica per quel che con esso sarebbe andato perso, ovvero il senso di armonica appartenenza alla società e alla natura.

Maledetto è allora il denaro, corruttore della autentica socialità. Ma che cosa è il denaro? Difficile trovare una risposta. Tra i pochi che ci si sono provati, spicca Georg Simmel, con la sua Philosophie des Geldes scritta agli inizi del Novecento. Il denaro, spiega convincentemente, ha una duplice funzione: di rendere i beni commensurabili e quindi scambiabili, e di mezzo dello stesso scambio. L'economia monetaria - chiamiamolo pure capitalismo - ha permesso l'allargarsi delle relazioni scambievoli tra gli uomini, fino al livello planetario. Ma non ogni cosa si spiega con essa, come vorrebbero quelli che elevano il denaro a "dio", provocando giuste deprecazioni.

Il denaro rientra nella logica di quella che Aristotele chiamava la giustizia commutativa o retributiva. Ma nella parte centrale della Caritas in veritate Benedetto XVI riconosceva che essa non può prescindere da un altro tipo di giustizia, per la quale, prima di scambiare beni commensurabili in denaro, ci riconosciamo nella nostra comune umanità, e quindi come partner affidabili nei commerci. E' quella che Aristotele chiamava giustizia distributiva: la giustizia del "dare a ciascuno il suo", in scambi cerimoniali nei quali ci riconosciamo reciprocamente per quello che diamo, ovvero doniamo.

Dall'inizio la chiesa ha proclamato l'universalizzazione "in Cristo" (quale figura del tutto dare per tutto ricevere) delle relazioni scambievoli tra gli uomini. Ma poi questa universalizzazione è rimasta legata alle contingenze delle comunità locali, con le loro ripartizioni di proprietà immobiliari. Fino all'avvento del capitalismo, quando la proprietà mobiliare ha preso il sopravvento. Deprecare questo avvento significa non vedere che esso non rappresenta in effetti che il pendent, nella giustizia commutativa, della universale giustizia distributiva realizzata in Cristo. Come ben compresero i primi, spiritualissimi, francescani.

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Vincenzo Fiorentini  Giorgio Salzano • 3 giorni fa

sì, però il capitalismo non è l'economia monetaria (men che meno monetarista).

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guido valota • 4 giorni fa

Non va bene, Ratzinger era troppo chiaro e intelligente per i fan di uno che accosta economia e terrorismo.

Che poi, ma non è lo stesso che esordì con un patetico 'chi sono io per giudicare'?

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