Migranti, sardine e globalismo: perché la Chiesa vira a sinistra

La Chiesa cattolica ha ormai sposato le istanze progressiste. Ma non è stato sempre così. La parabola che dalla linea Ruini-Bagnasco ha portato alla visione di Galantino e dei vescovi contemporanei

Francesco Boezi 04/07/2020 – ilgiornale.it lettura8’

Dalla gestione Ruini-Bagnasco a quella odierna qualcosa è cambiato. L'assunto non riguarda solo la Cei: la Chiesa cattolica oggi sembra meno impegnata sul fronte della bioetica rispetto a qualche decennio fa.

Il Papa prende delle posizioni chiare: dalla "colonizzazione ideologica" - espressione che Bergoglio utilizza per contrastare la cosiddetta "ideologia gender" e la sua diffusione - sino all'associazione con i "sicari" quando si tratta di definire coloro che alimentano pratiche come l'aborto o l'eutanasia.

L'ex arcivescovo di Buenos Aires - buona parte degli addetti ai lavori concordano - è in linea con il pontificato precedente, e pure con quello di San Giovanni Paolo II. Con buona pace della sinistra, che quando il vescovo di Roma interviene su questi temi tende a fare orecchie da mercante. Ma allora perché le alte sfere cattoliche vengono spesso criticate dalla base dei fedeli conservatori? Ogni pontificato ha avuto a che fare con delle rimostranze provenienti dal basso e dall'alto, dalle realtà parrocchiali e dai giornali, ma la sensazione - questa volta - è che non siano pochi a pensare che l'Ecclesia abbia posto degli accenti diversi dal consueto, dribblando quella che sempre i conservatori chiamano "battaglia antropologica".

"Prima fare i convegni sull'antropologia era considerato un merito. Adesso si rischia di essere cacciati". É una delle tanti frasi che circolano negli ambienti ecclesiastici. Una di quelle che - a detta di una nostra fonte anonima - sarebbe stata pronunciata da un consacrato. Qualcuno attribuisce il cambio di passo ad una profonda modifica dell'agenda pontificia: papa Francesco preferirebbe le tematiche economico-sociali a quelle di materia bioetica. Ma Jorge Mario Bergoglio, nel corso di questi quasi sette anni di pontificato, ha tuonato eccome. Qualche esempio: l'eutanasia come "falsa compassione"; l'aborto come "affittare un sicario"; l'eugenetica come "disumana mentalità".

Non mancano i virgolettati mediante cui stabilire come il pensiero di Francesco, in alcune circostanze, sia stato tanto diretto e senz'appello da scavalcare in fermezza le espressioni di Joseph Ratzinger. Quantomeno a livello comunicativo. Ecco, proprio la comunicazione viene messa al centro delle disamine di chi ritiene che il problema, per quelli per cui ne esiste uno, risieda nelle priorità mediatiche selezionate dai vertici del Vaticano, dunque anche dal pontefice argentino. "Non è che il Papa non prende posizione - aggiunge la nostra fonte - , semplicemente certi messaggi non passano come gli altri". Quali sono questi "messaggi che passano"? Quelli economico-sociali, appunto. Con le sottolineature continuative che riguardano la gestione dei fenomeni migratori, il tema degli esclusi dal sistema economico ed il multilateralismo diplomatico che sembra guidare la Chiesa cattolica, quando si tratta di sedersi ai tavoli della geopolitica.

É allora lecito affermare che la Chiesa cattolica si è spostata a sinistra? Don Alfredo Maria Morselli, parroco emiliano-romagnolo, la spiega così: "È il trionfo postumo del sogno di Dossetti, Berlinguer, Bettazzi e P. Sorge, quando era direttore della civiltà cattolica (anni ’80): una religiosità solo privata, senza cultura (la chiesa povera di Dossetti non è solo una chiesa con i preti senza soldi, ma spoglia della propria cultura), che potesse rivestire il socialismo anziché la dottrina sociale della Chiesa. Il Cristianesimo diventa una pelle senza scheletro, e le ossa le mette chi ha l’egemonia culturale". Jorge Mario Bergoglio in Sud America è percepito come un populista. In Europa però il discorso cambia, con la battaglia del Santo Padre contro la proliferazione delle idee portate avanti dai movimenti sovranisti e populisti. Il "fenomeno Bergoglio" non è semplice da definire. Più semplice, per comprendere cosa sia accaduto e cosa stia accadendo, risulta ragionare in termini di cronistoria.

La convergenza in bioetica con i governi di centrodestra

Basterebbe il caso Eluana Englaro, e le decisioni prese all'epoca dal legislatore, per certificare come, durante i governi presieduti da Silvio Berlusconi, Chiesa, vescovi e politica abbiano dialogato. Protagonista di quella stagione è stato di sicuro il cardinal Camillo Ruini. Il fatto che l'Europa si stia confrontando con la promozione dei "nuovi diritti" - una definizione di Benedetto XVI - non dipende solo dall'Italia: il dato è molto più complesso, e interessa pure lo sviluppo di una cultura a discapito di un'altra, che sarebbe poi quella tipica della civiltà occidentale, oggi in affanno o in sparizione. Ma quegli anni, quelli della barra dritta in materia bioetica, hanno sancito l'esistenza di una convergenza su quelli che il porporato italiano chiama "valori fondamentali". Del cattolicesimo, dell'Europa e anche di quella che San Giovanni Paolo II ha individuato come "eccezione italiana". E forse non è un caso che l'ex segretario della Conferenza episcopale italiana, Nunzio Galantino, quando Ruini dalle pagine del Corriere ha invitato gli organi istituzionali ecclesiastici a dialogare con la Lega di Matteo Salvini, abbia ribadito il suo "no" alle "vecchie collateralità". Il che porta a due considerazioni: una "collateralità", anche fruttuosa per coloro che hanno intenzione di combattere il "pendio scivoloso", che oggi è declinato ad esempio dalla proposta di legge sul contrasto all'omofobia (molti cattolici, Cei compresa, sono contrari), è esistita; l'altra considerazione riguarda quello che lamenta la base, il basso, ossia l'esistenza di una tensione - un atteggiamento di fondo - alla conventio ad excludendum, che prevede che la dialettica tra istituzioni e Chiessa passi soprattutto, se non soltanto, dai cattolici democratici, che risiedono per lo più tra le file delle forze di centrosinistra.

Da Ratzinger a Bergoglio: il cambio d'agenda in Vaticano

Qual è stato lo spartiacque? La nostra fonte anonima guarda al Conclave del 2013. I tempi ed i temi dettati dal pontefice regnante non sarebbero gli stessi di quelli scelti dal predecessore. Il che, almeno in parte, smentisce la tesi della "continuità", che anche Joseph Ratzinger però sembra sostenere. "La Cei sembra trattenuta", ci dicono. Questo forse è l'aspetto più dibattuto. Si parla in questo senso di "imprinting del pontificato". I vescovi italiani hanno battagliato, ma forse non con la stessa convinzione che aveva contraddistinto la Conferenza episcopale ai tempi di Ruini prima e di Bagnasco poi. Un caso di specie: quando l'episcopato italiano ha scoperto che le Messe, nonostante l'alleggerimento delle contromisure prese per via della pandemia da Sars-Cov2, non sarebbero state "sbloccate", ha diramato un comunicato che non lasciava spazio alle interpretazioni:"I vescovi italiani - ha fatto sapere l'episcopato del Belpaese - non possono accettare di vedere compromesso l'esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l'impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale". Il premier Giuseppe Conte ne ha preso atto. Le parti hanno continuato a lavorare sul protocollo - quello su cui tuttavia pare che si fossero già accordate - e la polemica è terminata con un nulla di fatto. Per i più maliziosi con un "volemose bene". Ancora Morselli: "Vede San Paolo ha detto: “non conformatevi alla mentalità di questo secolo”: ci sono alcuni che non hanno retto la pressione del mondo e se ne sono impregnati. È un fenomeno costante nella storia della Chiesa: i giansenisti importarono il calvinismo, i modernisti di inizio XX secolo la filosofia di Kant, i cattocomunisti prima del crollo del muro di Berlino la lotta di classe, e dopo il crollo, il pensiero debole relativista e gnostico". Può davvero essere la spiegazione alla base di un appiattimento?

Un medesimo ragionamento potrebbe essere presentato in merito alla battaglia contro l'eutanasia (che con le conseguenze giuridiche del "caso Cappato" è stata di fatto persa) e alla questione recente del ddl Zan-Scalfarotto: i vescovi tentano di sbarrare la strada al "pendio scivoloso", ma ci si limita ai comunicati. Le mobilitazioni vengono organizzate dalla base. Dai movimenti pro life e dalle sigle laiche. L'associazionismo non ha la forza dei vescovi. La sensazione è che il mordente si sia perso per strada. Possibile che dipenda dal passaggio del papato? Di sicuro con Bergoglio sono entrati nel vocabolario parole come "ecologismo". Può dipendere dai tempi. Può dipendere da una strategia. Infine, i colpi che vengono battuti "fuori tempo massimo". Anche le tempistiche reciterebbero la loro parte.

La linea Galantino (e di tutti i vescovi) sui migranti

La "linea dura" sui migranti non è condivisa dai vertici vescovili. Stupisce la mancanza di soluzione di continuità: contare gli appelli a favore dell'accoglienza erga omnes non è fattibile. Sono decine a settimana. La stima è più o meno questa. Del resto è la pastorale di Jorge Mario Bergoglio a stabilire i confini: meno sono, meglio è. Perché gli "ultimi" ed i "penultimi" del pianeta sono evangelicamente tutelati, dunque vanno accolti. Se non è "sempre", poco ci manca. L'espressione palese di questo pensiero nel Belpaese è stata la gestione di Nunzio Galantino, durante cui i vescovi hanno messo in piedi una vera e propria opposizione diretta a criticare l'azione dell'allora ministro dell'Interno, Matteo Salvini. "Stare nel Mediterraneo da cristiani è una urgenza - aveva dichiarato l'ex segretario Cei Galantino, parlando di un viaggio del pontefice argentino su Tv2000 - , non è solo una scelta morale. E la Chiesa deve sottolineare quando la politica va oltre i limiti". Quella delle istituzioni cattoliche, quindi, non è affatto una "invasione di campo". La sfera della politica è limitata, si sa. Ma quanto è larga quella dei vescovi e dei consacrati? Un'altra domanda che viene posta spesso.

L'antisalvinismo militante dei "preti di strada"

Una premessa: le cose stanno mutando. Forse, dopo una serie di decisioni non proprio inclini ad assecondare le priorità dell'episcopato, i vescovi si sono accorti che il dialogo ad un senso può comportare svantaggi. E la Chiesa sembra aver aperto alla Lega. Negli anni passati, però, abbiamo avuto modo di raccontare un fenomeno che non è classificabile, se non mediante i concetti propri della militanza. Dal "digiuno a staffetta" alle dichiarazioni in pubblico contro l'utilizzo dei simboli cristiano-cattolici, forse nessun leader era mai stato sottoposto ad un fuoco di fila così persistente. Un fuoco che, per semplificazione, ha trovato origine tra i "preti di strada". Quelli che in questi ultimi anni hanno occupato spazi importanti. Come se non bastasse, c'è stato poi il periodo in cui gli stessi "preti di strada" - a dire la verità lo hanno fatto anche alcuni vertici - hanno iniziato ad esprimere simpatia nei confronti delle "sardine", mosse a loro volta da uno spiccato anti-salvinisimo. Padre Antonio Spadaro, padre Bartolomeo Sorge, padre Alex Zanotelli, Don Biancalani: coloro che contestano Salvini, appoggiano il movimento giovanile nato in piazza a Bologna. Sempre i maliziosi arrivano a pensare ad una tattica studiata a tavolino negli ambienti prodiani, con l'avvallo della curia bolognese: ma si tratta di fantapolitica applicata alle cose ecclesiastiche, ne siamo certi. La prossimità tra alcune alte cariche ecclesiastiche e gli ambienti politici di sinistra, però, è un tema destinato a rimanere attuale. L'ultima? La presenza del cardinal Matteo Maria Zuppi alla festa dell'Unità del Pd di Bologna.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata