Che cosa dobbiamo aspettarci dal viaggio del Papa in America. Una guida ragionata del Foglio

Il Foglio seguirà ogni momento del tour papale in terra americana con i suoi inviati callejeros, Mattia Ferraresi e Matteo Matzuzzi

di Redazione | 18 Settembre 2015 ore 06:00

Il Foglio seguirà ogni momento del tour papale in terra americana con i suoi inviati callejeros, Mattia Ferraresi e Matteo Matzuzzi. Commenti, interviste e analisi ventiquattro ore su ventiquattro. In italiano e in inglese. Aggiornamenti continui sul nostro sito e su Twitter.

 

Prima le messe nelle rosse piazze della Revolución ovunque presenti a Cuba, dall’Avana a Santiago fino a Holguín, sotto lo sguardo – a seconda della location – comunque benedicente della Virgen de la Caridad o del Comandante Ernesto Guevara, el “Che”. Poi, il volo verso la tappa più ostica del viaggio oltreoceano, gli Stati Uniti, dove Francesco arriverà martedì alle 22, ora italiana.

Mai un Papa ha parlato davanti al Congresso riunito in seduta comune, neppure quando a capo della Chiesa c’era l’anticomunista Giovanni Paolo II o il fine teologo Joseph Ratzinger. L’invito, invece, è stato recapitato a Francesco, un argentino che poco sopporta l’egemonia yankee, per dirla con le parole del suo mentore, il padre gesuita Juan Carlos Scannone. Padre Thomas Reese, sagace gesuita liberal già direttore di America Magazine, s’è domandato ironico se lo speaker Boehner, repubblicano, fosse impazzito prima di recapitare l’invito a Santa Marta. La tollera così poco, quell’egemonia, che Bergoglio, sul suolo statunitense, mai aveva messo piede prima di questo tour di una settimana scarsa tra Washington, New York e Philadelphia. Neppure da giovane, quando sognava di fare il missionario in Giappone, sogno infranto dal no perentorio di Pedro Arrupe.

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Il programma è fitto come la nebbia che avvolge le coste del Maine in pieno autunno. Accoglienza alla Andrews Air Force Base di Washington D.C., con Barack Obama e consorte a dare il benvenuto a Francesco. La mattina dopo, visita di cortesia alla Casa Bianca, con discorso in inglese (sarà uno dei pochi, ma dalla Segreteria di stato fanno sapere che “il Papa è stato un bravo scolaro e ha studiato bene l’inglese durante l’estate”). Nel pomeriggio, nella cattedrale di San Matteo, l’incontro con i vescovi locali, che a fatica cercano di sintonizzarsi sulle frequenze impostate dal Papa sudamericano che di combattere guerre culturali in difesa dei cosiddetti valori non negoziabili ha ben poca voglia.

Qualche ora più tardi, proteste dei nativi indiani permettendo, il Pontefice presiederà la grande messa di canonizzazione del beato Junípero Serra, il francescano “padre fondatore” che evangelizzò la California a forza di frustate e altri tipi di punizioni corporali sulle tribù che popolavano l’Alta California nel tardo Settecento. Il giorno dopo, giovedì, la visita al Congresso: il Papa parlerà ancora in inglese e spenderà più di qualche parola sulla questione climatica, hanno fatto sapere i pochi che hanno potuto spulciare il testo del discorso già pronto, “discusso e rivisto più volte”.

Venerdì, visita al palazzo delle Nazioni Unite a New York e intervento davanti all’Assemblea generale. Stavolta Francesco parlerà in spagnolo, libero quindi di abbandonare i fogli dattiloscritti e di improvvisare a braccio un intervento sui temi che più contraddistinguono la sua agenda: immigrazione, povertà, guerra. Ma gli osservatori americani si attendono che il Pontefice parli anche di libertà religiosa, nel paese che pochi mesi fa ha reso costituzionale il matrimonio tra persone dello stesso sesso e che ha visto sbattuta in carcere la cancelliera della contea di Rowan (Kentucky), Kim Davis, perché si era rifiutata di celebrare un matrimonio gay.

Nel pomeriggio italiano di venerdì, il Papa si recherà al Memorial di Ground Zero per l’Incontro interreligioso. In serata, la messa nel Madison Square Garden. Sabato 26 e domenica 27 sono le giornate riservate all’evento per il quale Francesco ha deciso di recarsi negli Stati Uniti: l’Incontro mondiale delle famiglie. Due messe, un incontro per la libertà religiosa con la comunità ispanica e altri immigrati, la veglia di preghiera al Franklin Parkway, un nuovo incontro con i vescovi locali, la visita ai detenuti nell’Istituto di correzione Curran-Fromhold. Il Papa che parlerà di famiglia a meno d’una settimana dall’apertura del Sinodo ordinario a Roma, dove lo attenderanno tre settimane di lavoro con i quasi trecento padri convocati. Ma il viaggio di Francesco oltreoceano ha anche una grande valenza diplomatica. Al di là del sigillo sul disgelo tra Washington e L’Avana – manca solo la cancellazione dell’embargo, e su questo il Pontefice dirà qualcosa – gli occhi degli osservatori internazionali sono puntati ai colloqui riservati con Obama. Probabile che si parli di vicino oriente e in particolare di Siria.

Due anni fa, Francesco organizzò una grande veglia di preghiera in san Pietro che contribuì a fermare i cacciabombardieri occidentali che già si preparavano a colpire le postazioni di Bashar el Assad. Scrisse una lunga lettera a Vladimir Putin, grande oppositore ai raid su Damasco. Lo ricevette in Vaticano, stabilirono un’intesa volta a evitare che si replicasse in Siria il caos libico. Putin che, tra l’altro arriverà nei prossimi giorni a New York per l’Assemblea generale dell’Onu. Non è escluso che per fare avvicinare Washington e Mosca sia richiesta una sorta di mediazione informale della Santa Sede, che tra le sue più alte gerarchie può annoverare diplomatici di rango. Non a caso, Francesco si è portato in America anche mons. Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati. Non succede quasi mai, ma il fatto che salga sull’aereo pure lui qualcosa vorrà dire. Sarà anche per questo che padre Federico Lombardi, nelle quasi due ore di briefing ai giornalisti sui dettagli della spedizione papale oltreoceano, c’ha tenuto a sottolineare la presenza del “ministro degli esteri” nella delegazione che accompagnerà Francesco.

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