Il matrimonio s’è ormai ridotto a puro romanticismo, tanto vale abolirlo

Amore e sacramento. Da San Paolo a Balzac

di Antonio Gurrado | 26 Febbraio 2016 ore 11:15 Foglio

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Un modo per celebrare il cinquantesimo anniversario della soppressione dell’Indice dei libri proibiti potrebbe essere ripristinarlo con due variazioni: adottare la più benevola dicitura di Indice dei libri dannosi e limitarlo ai romanzi d’amore. Nell’elenco di titoli vietati scelti dalla Lettura di questa settimana non sorprendono gli Spinoza e i Voltaire ma l’esattezza con cui la mannaia ecclesiastica si abbatteva su Stendhal, George Sand, D’Annunzio, Dumas padre e figlio; non per retriva sessuofobia ma per il nudo dato di fatto che l’amore romantico è un concetto posteriore ed estraneo all’amore cristiano. Inventato coi grandi romanzi epistolari del Settecento (tipo Rousseau, all’Indice anche lui), l’amore romantico pone l’io al centro dell’attenzione dell’io stesso, ci tramuta tutti in protagonisti della nostra storia emozionante e ci sbalza nel topos narrativo reso celebre da Jeffrey Eugenides: the marriage plot, la trama del matrimonio il cui esito sancisce o pregiudica l’intimo successo della nostra vita. L’io spianta Dio, la cui tutela unisce le coppie nell’amore cristiano.

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Il Nuovo Testamento ci dimostra che amore e matrimonio sono argomenti sopravvalutati per chi pensa alle cose di lassù. Matteo evangelista ci assicura che alla resurrezione non si prende né moglie né marito ma si è come angeli nel cielo. Un disinvolto san Paolo conclude sbrigativamente che chi sposa la propria vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio. L’amore romantico – il cui sviluppo estremo è il tautologico slogan “love is love” su cui s’incardina ogni battaglia per le nozze omosessuali – parte dall’assunto opposto: l’amore come voglio io è importantissimo. Non sorprende dunque che sul celebre volo di ritorno dal Brasile, quando tutti erano ipnotizzati dal “Chi sono io per giudicare?”, Papa Francesco abbia anche dichiarato che un matrimonio cattolico su due andrebbe considerato nullo. Perché? Perché contratto con cattive intenzioni, ossia sotto il vincolo arbitrario e passeggero (quando non solipsistico) dell’amore romantico, contrastante con l’amore cristiano radicato nel sacramento. Senza voler essere severi come il Papa, basta considerare che, se uno si sposa ritenendo che potrà sbarazzarsi del coniuge quando il sentimento gli detterà che è giusto, profana il sacramento come chi fa la comunione con la coscienza sporca.

Più che in difesa della famiglia tradizionale, i cattolici dovrebbero schierarsi per la rivendicazione del matrimonio come sacramento. Era l’obiettivo polemico del codice civile di Napoleone, figlio della temperie dell’innamoramento romantico: “Il matrimonio non deriva affatto dalla natura. L’uomo è ministro della natura” è il delirio di onnipotenza napoleonico su cui Balzac volle dare inizio alla “Fisiologia del matrimonio” (appena ripubblicata da Elliot). Nozze civili e divorzio legalizzato, innescate sulla smania di vivere romanticamente, hanno svuotato il senso delle nozze religiose rendendole sovente un rito espletato in stato di semi-incoscienza riguardo a cause e implicazioni, come se fossero matrimoni in municipio celebrati da un assessore o da un vecchio amico. Tutelare il matrimonio come sacramento è invece l’unico modo per non farlo ricadere sotto l’ampia categoria di adiaphora, ossia di dettagli che san Paolo riteneva indifferenti ai fini della pratica religiosa: mangiare cibi puri o impuri, sposare o meno la propria vergine.

Negli Atti degli apostoli è scritto che è più urgente obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Anziché discettare col bilancino di unioni civili, la posizione dei cattolici dovrebbe consistere nel rivendicare il matrimonio come sacramento (patto con Dio) a costo di spingersi fino a propugnare l’abolizione del matrimonio come istituzione (patto fra uomini), favorendone la dissoluzione in qualcosa di diverso e indifferente che assecondi i capricci del momento. Va bene cercare il compromesso e la conciliazione, ma Gesù sosteneva di essere venuto a portare non la pace ma la spada.

Categoria Religione

Commenti

metraton • 3 ore fa

Il matrimonio (quello vero) è una cosa troppo seria perché la modernità possa tollerarlo.

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Paolo Carcano • 4 ore fa

La letteratura romantica ha fatto più danni delle guerre napoleoniche: il sentimento romantico giustifica il matrimonio come il tradimento, ancora ricordiamo la lettura che i romantici diedero della letteratura medievale, Paolo e Francesca, Ginevra e Lancillotto, e così via. L'eros naturale ha più dignità dell'amore romantico, che è stato solo un mascheramento borghese della voluttà. Siamo tutti figli di Madame Bovary, per questo siamo tutti divorziati, risposati, accoppiati civilmente e in qualunque altra condizione ci abbiano portati i nostri sentimenti. Il matrimonio come istituto civile è destinato al divorzio, l'uomo per sua natura è infedele e se il diritto pensa di normare la natura allora deve prevedere la fine naturale del contratto coniugale, che come tutte le cose naturali è a tempo determinato. Il tempo indeterminato appartiene non all'uomo ma a Dio, o meglio appartiene solo all'uomo che è in comunione con Dio attraverso il patto matrimoniale, ma tale comunione si fonda sull'amore come sostanza (agape) e non come sentimento (eros, filia). Il primo sta al secondo come la forza elettromagnetica sta al fulmine, quest'ultimo sembra gran cosa ma è solo la manifestazione di un istante.

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