MANUALE DI CONVERSAZIONE Il brunch

Chi lo adora. Chi lo detesta. Chi ne apprezza l’informalità, chi ne aborre il dissennato sincretismo. De gustibus… comunque, non mancate di parlarne a vanvera

di Andrea Ballarini 4 Febbraio 2017 alle 06:30

Il brunch

- Ha rotto le balle.

- Una reliquia dello stile di vita metropolitano.

- Preferirlo alla solita abbuffata della domenica a casa dei genitori di lei/lui. Perlomeno non si deve spiegare perché non si hanno ancora dei figli.

- Cadere in depressione alla vista della pericolante torre di Pisa di cibo che il commensale ingordo riesce a costruire nel proprio piatto. (Vedi seguente)

- Detestare quei locali che non consentono il rabbocco, ma che obbligano a mettere tutto nel piatto in una sola volta, con risultati organoletticamente sconcertanti. (Vedi seguente)

- Considerare che a casa vostra vi cambiavano piatto anche quando prendevate due volte le lasagne, altrimenti facevate gli schizzinosi e ora invece stipate insieme pasta, risotto, insalata, prosciutto e dolce e siete anche contenti. Improvvisamente comprendere cosa intendeva vostro padre quando diceva che "ci vorrebbe un po' di guerra".

- Sostenere provocatoriamente che l'idea di accompagnare l'arrosto con una pinta di caffè americano o di succo d'arancia vi fa accaponare le budella: ci si qualifica come intelligenza critica fuori dal coro.

- Evitarlo.

- Sostenere a spada tratta le trattorie fuori porta che per lo stesso costo servono, primo secondo, contorno, frutta, dolce, caffè e ammazzacaffè. Far partire un pippone su "Come si mangia bene in Italia, da nessuna parte": evitare.

- Tuonare contro l'importazione acritica di modelli culturali che non ci appartengono, come Halloween. (Vedi seguente)

- Avere toccato il fondo dell'abominio quando si è partecipato al brunch di Halloween vestiti da vampiri, bevendo succo di pomodoro come dei pirla. Rammaricarsene.

- Non avere mai fatto un breakfast in tutta la vita, se non durante alcune fugaci vacanze a Londra; men che meno essere assidui frequentatori di lunch; interrogarsi sul perché mai si dovrebbe amare la crasi di due concetti estranei.

- Sostenere che ha avuto successo solo in virtù di un nome orecchiabile: se si fosse chiamato "colanzo" non se lo sarebbe mai filato nessuno.

- Detestare i camerieri che si avvicinano al tavolo e chiedono "Sapete già come funziona?" e al diniego spiegano la procedura, complicatissima, sparando una filastrocca imparata a memoria di cui se ne coglie a stento la metà.

- La musica (particolarmente quella centroamericana) che impedisce di parlare con i commensali andrebbe vietata per legge. Convenirne.

- Magnificare i pancake mangiati in un brunch a New York o, ancora meglio, a San Francisco, lascia intuire uno stile di vita internazionale. Variante: fare una scenata se lo sciroppo d'acero non è della marca preferita.

- Avere incontrato la stessa insalata di pesce all'aperitivo del venerdì sera e al brunch della domenica. Serbarne un intenso ricordo.

- Scrivere recensioni dei locali che fanno brunch: se le si scrive su siti gastronomici fa figo (soprattutto se li si stronca drasticamente), se le si scrive su su TripAdvisor (soprattutto se li si stonca ) fa un po' sfigato. Convenirne.

- Anche il brunch è tramontato, e non solo a Milano che del pasto intermedio tra mattina e mezzodì è stata la capitale, ma in tutta Italia.  (Marco Belpoliti, La Stampa, 2 febbraio 2016)

- Rievocare un arancino mangiato la domenica alle 14 con cui si è convissuto fino al mercoledì sera. Deplorare.

- Branch domenicale: 15 Euri. (Da una carta di un locale aspirazionale di Testaccio, Roma)

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