Lettere al Direttore Il Foglio 30.10.2915

Pasolini e Marino. La verità e l’omofobia. Ci scrive Faggioli. . Un ritratto magistrale del collasso economico-politico della Capitale, delle sue radici, dei suoi protagonisti

1-Al direttore - Da incorniciare l’inchiesta di Salvatore Merlo su Roma. Un ritratto magistrale del collasso economico-politico della Capitale, delle sue radici, dei suoi protagonisti. La situazione è grave ma non è seria, direbbe Ennio Flaiano. E’ vero: sta cambiando la geografia del potere e (forse) ci sono meno soldi da distribuire a clientele e corporazioni. Ma la città, pur tra tumultuose trasformazioni, rimane sempre la stessa. Rimane cioè – oggi come ieri – senza “grandi peccatori”. Perché mancano, come scriveva lo stesso Flaiano  nel 1960, “i falsi messia, i poeti inediti (tutti stampano qualcosa), i cupi visionari, gli affaristi pazzi, i pittori della domenica, i filosofi ambulanti: non avrebbero un pubblico”. Insieme al denaro, la sola grande attrazione – egli aggiungeva – resta il sesso. Tuttavia, “questa inclinazione del romano verso la Donna non prende mai l’aspetto del rovinoso vizio e della passione. Il Sesso è un conforto, anch’esso vagamente parafamiliare. L’estate scorsa è venuta a Roma Lily Niagara a fare spettacoli di spogliarello. Dopo quattro giorni, nel locale dove lavorava, si entrava con la riduzione dell’Enal” (“La solitudine del satiro”, Adelphi, 2013). In altre parole: il vizio a Roma è sempre stato razionale e utilitario, un fatto esteriore, un costume, una moda. Sta qui anche il carattere profondamente meschino della sua corruzione. Ci vuole solo l’immaginazione di qualche pm o di qualche infoiato giornalista per trovarlo ardito e violento come quello delle multinazionali mafiose.

Michele Magno

2-Al direttore - Arieccoli. Quando ai gendarmi del pensiero unico qualcosa va di traverso, la tanto decantata tolleranza si tramuta nella più feroce delle persecuzioni, come ha documentato ieri il Foglio con dovizia di particolari a proposito della caccia alla strega scatenata contro il giudice Deodato. Era già successo in occasione del Family Day del 20 giugno, quando evidentemente irritati per l’inatteso successo della manifestazione, e cercando un pretesto per screditarla, lorsignori non seppero far di meglio che mettere alla gogna uno dei relatori solo per aver detto una verità di sesquipedale evidenza (mai letto il “Medea” di Euripide?) sulle dinamiche esistenziali che possono condurre un uomo a uccidere la moglie. Ora è toccato al povero Deodato, e con lui a Giuseppe Romeo, presidente del collegio dei cinque giudici che hanno deliberato l’infame sentenza, reo invece di appartenere all’Opus Dei (esemplare l’intervista-interrogatorio su Repubblica di ieri, che in confronto Torquemada era una mammoletta). Ma tant’è. Nulla di nuovo sotto il sole: “La tolleranza – sappilo – è solo e sempre puramente nominale… E questo perché una ‘tolleranza reale’ sarebbe una contraddizione in termini. Il fatto che si ‘tolleri’ qualcuno è lo stesso che lo si ‘condanni’. La tolleranza è anzi una forma di condanna più raffinata. Infatti al ‘tollerato’ – mettiamo al negro… – si dice di fare quello che vuole… che il suo appartenere a una minoranza non significa affatto inferiorità… Ma la sua ‘diversità’ – o meglio la sua ‘colpa’ di essere diverso – resta identica sia davanti a chi abbia deciso di tollerarla, sia davanti a chi abbia deciso di condannarla”. Firmato: Pier Paolo Pasolini. Deo (sia lo) dato.

Luca Del Pozzo

Lei parla di “verità”. Ma il problema è persino più basilare. Non si tratta solo di dire chi ha ragione. Si tratta di mettersi d’accordo su un punto chiaro: la polizia del pensiero unico deve accettare che chi si discosta dal pensiero unico non è un fondamentalista ma è una persona che ragiona con la sua testa. Un paese in cui difendere la famiglia tradizionale significa finire nel girone infernale degli omofobi è un paese in cui la dittatura della morale sta semplicemente vincendo. E non si può accettarlo.

3-Al direttore - Il Foglio è in Italia una delle poche finestre aperte per il pubblico non specializzato sul mondo religioso americano, e quindi i suoi lettori meritano di sapere alcune cose in riferimento ai due articoli pubblicati nei due giorni scorsi nei quali sono stato chiamato in causa.

1) La lettera che ho firmato e poi pubblicato via social media il 26 ottobre è frutto di un lavoro collettivo e quindi ha ovvie debolezze formali, ma in nessun modo intende  o esprime il desiderio di ridurre al silenzio una voce come quella di Ross Douthat sul New York Times. La lettera piuttosto intende informare i lettori del New York Times, uno dei modelli di correttezza nel panorama dell’informazione mondiale, che un suo autorevole commentatore che scrive da conservatore e da cattolico ha scarsissime conoscenze su cosa sia la tradizione cattolica che dice di difendere da cattolico (conoscenze che non derivano necessariamente dall’essere accademico oppure no: vedi alla voce “elitismo dell’anti elitismo”). Lo si vede dalla disinvoltura con cui Douthat lancia accuse di eresia: molto più grave quando la formula contro il Papa che contro di me (ubi maior). Tuttavia, accusare di eresia un teologo cattolico laico in America è più grave che farlo in Italia, viste le azioni di polizia dottrinale contro i teologi a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni (prima di Francesco) qui in America.

2) L’accusa di eresia fa parte del modus operandi della cultura cattolica di cui Douthat è espressione, non certo della mia. I paladini della libertà di espressione di Douthat sono gli stessi che da anni ormai stilano vere e proprie liste di proscrizione contro teologi cattolici americani. Il tentativo è di spingere i vescovi a fare pressione sulle università cattoliche in modo da ottenere il licenziamento e il silenzio di quei teologi (lo testimonia la piccola caccia alle streghe in corso via internet contro alcuni dei firmatari della lettera). Questi paladini sono gli stessi che negli anni scorsi inneggiavano alle purghe di teologi cattolici che, al contrario di Douthat, avevano speso la loro intera vita studiando e insegnando teologia, e soprattutto servendo la Chiesa.

Massimo Faggioli

Per accedere all'area riservata