Galeazzi: "Maradona amava le grasse". Poi il siluro: Piccinini-Caressa demoliti

Giampiero Galeazzi scrive. «A mano, in poltrona, e faccio anche fisioterapia: un ginocchio me la sta facendo pagare».

Giampiero Galeazzi

Libero 18.5.2016

All' alba dei suoi primi 70 anni (li compie mercoledì), Bisteccone («Mica è spregiativo: a Roma bisteccona è un complimento a una donna: robba bbona, 'na bella "magnata", capito?) ha da poco pubblicato l' autobiografia «L' inviato non nasce per caso» (Rai Eri, pp. 240, euro 18).

Giampiero, auguri.

«Eh, 70 anni, roba da pazzi...».

Più chilometri per i tuoi viaggi?

"Toccata e fuga al mare? Gitarella in montagna? Viaggio estivo? Se i tuoi pneumatici durassero 8000 km in...

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Da dove comincia il racconto?

«Si riavvolge il nastro di una carriera lunga e pedalosa, nel senso che ho pedalato tanto. Fa il verso al titolo del libro, questo mestiere ha bisogno di una voce dentro che ti porta avanti».

Lei voleva fare ben altro...

«Laurea in economia con specializzazione in statistica, dovevo andare alla Doxa. Papà me disse: "Ma 'ndo vai, alla Rai so' tutti raccomandati"».

E come ha fatto a entrarci?

«Perché ero campione sportivo. Portavo le notizie alla redazione sportiva del giornale radio».

E da subito ha avuto a che fare con personaggi enormi.

«Il gotha. Ciotti, Ameri, Moretti. Per lavorare con loro prendevo du' lire, invece d' anda' al mare la domenica andavo lì a puli' per terra dalle 8 alle 20».

E pagava il caffè a Ciotti.

«Ovunque andavi trovavi un conto suo, aveva questo difetto di non tira' fori una lira».

E il passaggio alla tv?

«Non fu facile, la radio la amo. Nel '75 c' era bisogno di redattori sportivi al Tg1 e accettai. Fu la mia fortuna».

Le telecronache nel canottaggio l' hanno resa inconfondibile.

«Gli Abbagnale, Rossi e Bonomi... non mollo mai il respiro. È uno sport che io ho fatto, ho partecipato alla selezione per le Olimpiadi del 1968 a Città nel Messico. Era come se fossi in barca con loro, era un "tre con". Era un modo per salire anche io sul podio. Poi, dopo la telecronaca collassavo».

A Seul 88 l' hanno anche buttata in acqua.

«Un bacino freddo e fetido, ce l' avevano con questo pazzo che urlava per l' Italia. Mi dà soddisfazione aver fatto capire che il canottagio non è uno sport stupido. Io poi ce l' ho nel sangue, mio padre viene dal Lago Maggiore, è stato campione d' Europa».

La telecronaca degli Abbagnale ha rischiato di non esistere.

«In Rai avevano proclamato sciopero generale. Quando l' ho saputo ero a mangiare il solito tortellino, a Seul, e pensai: ci siamo fatti migliaia di km per venire a ubriacarci insieme a mignotte asiatiche e soldati americani.

Tornai in albergo alle 6 del mattino e scoprii che mi cercavano, c' avevo du' chili de bigliettini alla porta: sciopero rientrato. Nemmeno il tempo di lavarmi, saltai su un taxi e mi scordai anche il badge per entrare allo Stadio Olimpico. "E mo'?" Ma quella era la mia giornata, mi fecero entrare lo stesso. Arrivai in postazione senza manco il foglio partenti ma tanto me li ricordavo a memoria».

E il canottaggio azzurro oggi?

«Poca roba, c' è pure qualcuno fermato per doping: come se m' avessero accoltellato il cuore».

Pure col calcio...pagine storiche.

«Ogni domenica ero in giro per l' Italia. Facevo 2 minuti per la Domenica Sportiva, me dovevo fa' un culo... Questa non l' ho scritta nel libro. Fine Anni 80, so' a Verona-Napoli. Rivalità al top, tifosi che s' offendono con cori e striscioni, "benvenuti in Italia", "lavatevi", il geniale "Giulietta è 'na zoccola" dei napoletani. È settembre e siccome l' autostrada è sempre bloccata dai turisti per la prima volta ho a disposizione l' elicottero Rai per portare il servizio a Milano. Ma quel giorno piove di tutto: "Finiamo in un campo di mele", dice il pilota. Quindi niente elicottero, corro a prendere il treno, il Brennero-Milano: non arriverà mai, "Black out della linea elettrica", annuncia l' altoparlante. Uno normale si mette il cuore in pace, io invece corro dai carabinieri, c' è il comandante napoletano che mi dà una gazzella e via. Sembra di essere in Fast & Furious, a 200 all' ora in autostrada col lampeggiante che fa scansa' tutti, da sentisse male. Alle 22.15 mi presento in Corso Sempione con le cassette in bocca e Ciotti fa in diretta: "Ringraziamo l' Arma per averci portato sano e salvo Galeazzi e soprattutto le cassette"».

Scusi Galeazzi, imita Ciotti? Ma non era lei quello imitato?

«Nicola Savino grazie a me è diventato miliardario. Me fa piega', ma ha messo il santino con la mio foto in camera... Insomma, tutto 'sto casino di Verona per un servizio de du' minuti: so' tornato in albergo e so' crollato».

Anche quello per lo scudetto del Napoli doveva essere 2 minuti, invece ne andarono in onda 16.

«Il Napoli sta pe' vince' il titolo, prima della fine me fo chiude' negli spogliatoi da Carmando, il massaggiatore. Dopo la partita fori ce stavano 200 giornalisti da tutto il mondo, Sudamerica, Giappone, Congo Belga: ma dentro c' ero solo io. La genialata fu far fare a Maradona le interviste».

Chi è Diego?

«Un grande, con la droga ha sbagliato, ma per me è il più grande, nel senso di uomo squadra, perché ha fatto vince' de' pipponi micidiali».

La portava a mangiare la pizza da Ciro a Mergellina...

«Con Carnevale, la moglie... C' erano le telecamere della DS e lui mi sfotteva "che cazzo dici Galeazzi". Poi portava la moglie a casa e lui se ne andava con la Ferrari nera a fa' danni. Le più brutte di Napoli erano sue, gli piacevano alla Botero. A me invece piacciono quelle tipo Nicole Kidman».

Un altro genio del pallone che ha conosciuto bene è Platini.

«Con Michel abbiamo fatto un viaggio in Germania molto intenso. Si era appena ritirato e come me ama il tennis e McEnroe. Ogni volta che ci fermavamo giocavamo. E anche lì grande avarizia. Non pagava mai un campo, quando vinceva scriveva il risultato sulle magliette e me le dava per pro-memoria: ce le ho ancora. E quando andavamo a cena lui sapeva sempre dove erano i buffet Uefa pe' scrocca'».

E l' avvocato Agnelli?

«Il problema non era intervistarlo, ma avvicinarlo, superare il corteo che lo accompagnava. Lui amava sfottermi: "Cavo Galeazzi, se c' è lei è una pavtita impovtante". Allora un giorno lo stuzzicai: "Avvoca', ce so' più democristiani o juventini?". "Favò un' indagine. Comunque questa convevsazione mi piace e vovvei pvosegvivla a cena"».

Andò a casa sua?

«No, da Chiusano. Scene turche. I camerieri girano coi vassoi pieni ma non si può toccare nulla finché non mangia l' Avvocato, che è col presidente della Honda. Poi Agnelli si decide a far cena: riso in bianco e un bicchier d' acqua, mentre noi con gli altri cortigiani ce buttamo ai tavoli. 'Na fame. Ma mentre sto addentando la vitella tonnée mi chiama la segretaria: "L' Avvocato la vuole nel suo studio"».

E Berlusconi?

«Un altro che sapeva conquistarti, o comprarti, o schiacciarti. Andavamo "da Giannino", c' era la gente che lo chiamava e lui che sembrava Luigi XIV e mandava fuori cibo, vino... ».

Fa bene a vendere il Milan?

«So' i figli che non vogliono più butta' i soldi. Le elezioni ce le ha vinte, col Milan è diventato grande: grandi intuizioni ma anche grandi toppate, come l' attacco a Zoff a Euro 2000».

A Mediaset l' ha mai voluta?

«C' erano stati approcci, ma non ho mai inseguito soldi e carriera, forse è stato il mio limite».

Lei tifa Lazio, Lotito le piace?

«Lo chiamano Lotirchio... forse la Capitale meriterebbe di meglio. Però è uno molto acuto e anche lui è una buona forchetta. Al ristorante Ambasciata d' Abruzzo lo vedi, s' avvicina e te magna dal piatto: non ti paga mai la cena. E poi costringe il suo autista a giocare a tressette finché non vince».

Anche lei con Domenica In ha sbancato: è diventato un mito.

«Univo sport e show ma ho sempre saputo dividere i momenti. Certo, Mara Venier m' ha rovinato, me toccava fa' pranzo 3 o 4 volte al giorno: ma è stato un successo. E giù con le invidie, interrogazioni parlamentari. Mia moglie e i miei figli non me salutavano più, "che cazzo stai a fa'?", me vestivo da Batman, da Tarzan, da coniglio... ».

E i colleghi?

«Quando ho finito Novantesimo non c' avevo più una sedia, una scrivania, un grado: niente, tabula rasa».

La sua esperienza più lunga, però, è stata con il tennis.

«Più di 30 anni: tanta Davis, gli Internazionali d' italia, l' ho inventato io il villaggio del Foro: c' erano sempre i vip in giro, da Gassman a Tognazzi, e allora lì capii che si doveva andare oltre la cronaca delle partite e mi misi a fare interviste prima e dopo. Il salotto diventò più importante del torneo».

«Il rovescio de Lendl è 'na bomba al nepal», ha detto una volta. «Me usci' pure "roulotte russa"... ».

Ma il massimo è stato per lo scudetto della Lazio nel 2000.

«Diretta di Kuerten-Norman, 'na noia. La Juve è a Perugia, all' Olimpico Lazio-Cremonese. Quando me dicono dello scudetto mollo la postazione e l' ultimo game va in silenzio. Corro allo stadio con cameraman e microfono, so' l' unico giornalista, gli altri tutti a Perugia: al Tg1 delle 20 avrebbero dovuto mandare un western. Un servizio storico, mi salvo per questo».

E il ciclismo?

«Ho fatto il Giro 2003, una grande esperienza che dovrebbe fare ogni giornalista sportivo. E so' stato l' ultimo che ha intervistato Pantani. Che successo con "Stappa la Tappa": sui passi de montagna i tifosi mi invitavano a bere il vino».

Chi vince stavolta?

«Spero Nibali».

C' è un altro Galeazzi in giro?

«I telecronisti di oggi sono preparati ma un po' artificiali. Guarda Piccinini, dice sempre le stesse cose... Caressa mi piaceva ma ora racconta la sua partita: ti dice che quello "s' è fatto male alla caviglia" invece s' è rotto la spalla.

E poi oggi fanno tutti quelle conferenze stampa sedute... io andava a bussa' alle porte, a rincorre' i giocatori: gli strappavo le risposte dagli occhi».

Tommaso Lorenzini

Categoria Sport

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