Perché la Serie A non riesce a ribellarsi al razzismo

Il caso Koulibaly ripropone il tema della sospensione in caso di ululati. Ma l'arbitro può far poco senza i funzionari di pubblica sicurezza. E alle società manca il coraggio di abbandonare il campo.

LORENZO MANTELLI, 27,12,2018 www.lettera43.it

La Federcalcio varerà norme che facilitino la sospensione delle partite in caso di cori razzisti. A prometterlo è stato il presidente della Figc Gabriele Gravina, commentando le polemiche seguite all'espulsione di Kalidou Koulibaly nel corso del match conclusosi con la vittoria dell'Inter per 1-0. Il centrale del Napoli, bersagliato a più riprese durante l'incontro dai beceri "buu" razzisti di parte della tifoseria nerazzura, è diventato, suo malgrado, il simbolo dell'impotenza del calcio italiano di fronte all'inciviltà delle curve. Nulla sembra essere cambiato da quando, nel novembre 2005, l'ivoriano Marco André Zoro, allora in forza al Messina, scoperchiò il vaso di Pandora della discriminazione all'interno degli stadi, minacciando di lasciare il terreno di gioco durante il match contro l'Inter perché stufo del contorno di ululati e insulti provenienti dagli spalti.

In oltre 10 anni, malgrado il regolamento parli chiaro e dia disposizione al responsabile dell'ordine pubblico di ordinare lo stop per «cori, grida e ogni altra manifestazione discriminatoria», non è mai accaduto che una partita fosse completamente interrotta per messaggi razzisti. «Questa è una decisione che deve prendere l'arbitro, io non sono arbitro», ha commentato il ministro dell'Interno Matteo Salvini, ignorando di fatto che le responsabilità maggiori per situazioni come quella di San Siro siano in capo ai funzionari del suo dicastero.

L'INUTILE RUOLO DELLA PROCURA FEDERALE

E se l'allenatore azzurro Carlo Ancelotti ha sollecitato il mancato intervento della procura federale, che tramite il suo rappresentante avrebbe per ben tre volte ignorato gli appelli del Napoli che chiedeva di interrompere il gioco, lo stesso procuratore federale Giuseppe Pecoraro ha puntato il dito contro arbitro e tutore dell'ordine pubblico. La «decisione non spetta a noi», ha detto Percoraro, «ma all'ordine pubblico d'intesa con l'arbitro. Per quel che ci riguarda, è nostra responsabilità la comunicazione dell'accaduto al giudice sportivo».

«C'è già tanta gente che parla a sproposito», ha indirettamente replicato il presidente degli arbitri Marcello Nicchi. «Tutto quello che c'è da fare noi lo facciamo», ha quindi aggiunto riguardo alle parole di Pecoraro, «lui faccia il procuratore, l'arbitro e gli addetti all'ordine pubblico fanno quello che devono fare». A rendere la matassa ancor più ingarbugliata vanno considerate le circostanze extra-campo, col timore, nel caso di Inter-Napoli, che gli scontri avvenuti prima del match potessero ripetersi se l'incontro fosse stato sospeso per i cori all'indirizzo di Koulibaly.

IL TIMORE DI NUOVI INCIDENTI CON LO STOP DEL MATCH

Per il questore di Milano di Milano Marcello Cardona «gli ululati» contro il difensore «erano stati segnalati, la questione è stata valutata e dopo gli annunci allo stadio si erano fermati. Quando il giocatore è stato ammonito, e poi espulso, a cinque minuti dalla fine, sono ricominciati. A quel punto era rischioso fermare tutto, è stato meglio far terminare la partita regolarmente per evitare rischi». Il grande passo verso lo stop, insomma, ha finito ancora una volta con l'essere rimandato, sovrastato da interessi di altra natura. Gli stessi che hanno finora impedito a qualsiasi squadra, in questo caso il Napoli, di abbandonare spontaneamente il campo di fronte al verificarsi di episodi di razzismo. Ancelotti lo aveva già promesso alla vigilia del match con l'Atalanta, quando il pubblico bergamasco reagì dando prova grande di civiltà. Ora è tornato a minacciarlo alla prossima occasione. L'impressione è che manchi davvero il coraggio per compiere un gesto che potrebbe costare qualche prezioso punticino in classifica.

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