La sfida di Simone Moro al Nanga Parbat per diventare leggenda

Il bergamasco con Tamara Lunger in una scalata da record. Può diventare il primo uomo a conquistare 4 vette da ottomila metri d’inverno

Simone Moro

Newsletter 20/12/2015 ENRICO MARTINETLaStampa

Il vento porterà il sibilo dei jet al K2, unico suono d’umanità per un inverno di silenzi incrinati dal crepitio di nevicate, dal rombo delle valanghe o dalle esplosioni di seracchi. Non ci sarà uomo in quella piramide fra i ghiacci, nessuna spedizione per uno dei due Ottomila rimasti inviolati nella stagione fredda. Alla base dell’altro, il Nanga Parbat (8.125 metri), rumori simili alle sartie indicano che le cinque spedizioni sono lì. Poco più di venti alpinisti. E fra loro Simone Moro che mai tenterà il K2 d’inverno («Mia moglie ha sognato che di lì non tornerei e non sfido la profezia»), ma che lega la salita al Nanga Parbat a un posto nella leggenda dell’alpinismo. È l’unico ad avere nel suo carnet di imprese tre prime salite invernali sugli Ottomila: Shisha Pangma nel 2005; Makalu nel 2009 e Gasherbrum II nel 2011. «Quattro - dice - è roba di un altro mondo». S’infila nel solco della grande tradizione polacca, gli inverni di Jerzy Kukuczka e di Krzysztof Wielicki in Himalaya e Karakorum.

Senza limiti 

Il bergamasco, diventato da quest’anno anche anchorman televisivo con il reality di Rai2 «Monte Bianco», ha però fatto scuola: spedizioni leggere è dal 21 dicembre. Non come ai tempi dei polacchi quando le spedizioni invernali era preparate d’autunno. La sua terza volta d’inverno al Nanga Parbat è con Tamara Lunger, giovane altoatesina con cui ha condiviso l’anno scorso il tentativo a un altro Ottomila, il Manaslu. Rinuncia per «eccesso di neve». Tamara, ha scritto sul suo blog: «Dopo il Manaslu c’è già qualcosa che bolle in pentola». Il perché è nel complimento di Simone: «Non mi pongo più limiti dopo averti visto in azione sulla montagna». Cordata fatta, obiettivo il Nanga Parbat. Non solo, ma lungo una via nuova, tentata dall’alpinista che più di ogni altro conosce quella montagna pakistana, Reinhold Messner. Lui che perse il fratello nel 1970 scendendo dal versante Diamir dopo la prima salita sull’opposto versante Rupal (la parete più alta al mondo, 4 chilometri e 600 metri), nel 2000 proprio dal Diamir tentò una salita con la guida di Vipiteno Hanspeter Eisendle.

 

Un altro italiano 

Su quel versante, un po’ più a destra, sulla via Kinshofer ci sarà un altro italiano, Daniele Nardi, al suo quarto viaggio d’inverno al Nanga, con la spedizione International che comprende Alex Txikon, Januz Golab e il pakistano Alì Sadpara. Nardi lo scorso anno si fermò a 300 metri dalla vetta: non ci arrivò per un errore, la cordata sbagliò canalone per la cima e non ci fu più il tempo per un altro tentativo. Sulla stessa via ci saranno anche i polacchi Adam Bielecki e Jacek Czech. Ha fatto anche cordata per due volte con la francese Elisabeth Revol che è di nuovo lì ma con il polacco Tomek Mackiewicz. Tutti veterani di questa montagna e Tomek due anni fa rimase da solo per due mesi, ma invano e lo scorso anno si ferì precipitando in un crepaccio. Sul versante Rupal c'è l’imponente spedizione di polacchi (con Marek Klonowski) e pakistani. 

Neve, freddo e soprattutto neve sono le incognite, le stesse di sempre, quelle che negli scorsi anni hanno fatto fallire ogni tentativo sulla montagna più grande al mondo, con pareti alte il doppio di quelle del Monte Bianco. È da trent’anni che le cordate si avvicendano in quest’area di confine tra Pakistan e Cina. Moro parla di «esplorazione» e annuncia: «Non sono qui per essere il primo, ma per salire in vetta al Nanga Parbat d’inverno. E non rinuncerò alla cima soltanto perché altri mi hanno preceduto». 

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