LA BRUTTA SCUOLA – RENZI ROTTAMA LE SUE RIFORME E SI PIEGA

AL DIKTAT DEI SINDACATI: NESSUNA “DEPORTAZIONE” E NESSUN NUOVO DOCENTE DI RUOLO IN CATTEDRA. TUTTO RINVIATO DI UN ANNO – LA VITTORIA DI CHI VUOLE IL POSTO FISSO MA NON VOLEVA TRASFERIRSI

Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano” 21 AGO 2015 10:08

Maurizio Belpietro: “Che dovrebbero dire gli americani che con il 5% di disoccupazione sono pronti a sradicare la casa per un lavoro? Da noi invece ricevere un posto fisso, senza il patema di una crisi aziendale o di un licenziamento, essendo certi della possibilità in capo a qualche anno di ottenere l’avvicinamento a casa, viene chiamata deportazione”…

Nessuna deportazione ma soprattutto nessun nuovo docente di ruolo in cattedra. Il governo fa retromarcia: la buona scuola può attendere, per ora si accontenta di quella brutta. Dopo le proteste degli insegnanti, a pochi giorni dall'inizio delle lezioni, il ministero dell'Istruzione decide di rinviare di un anno l' entrata in ruolo dei nuovi professori, annunciando che i posti vacanti saranno coperti dai supplenti. Così invece della regolarità didattica, si garantisce solo il caos. Risultato: ha vinto chi voleva il posto fisso ma non voleva trasferirsi.

Chi si lamentava per essere costretto a raggiungere il luogo di lavoro là dove il lavoro c'è. Un pessimo esempio per i giovani in cerca di un impiego. I quali d' ora in poi saranno autorizzati a pensare non solo che la Repubblica è fondata sul lavoro (bene disponibile nelle mani di uno Stato socialista e non dove vigono le leggi di mercato) ma che l' Italia è un Paese fondato sul lavoro a pochi chilometri da casa.

La storia è nota e Libero è stato il primo a segnalarla, raccontando l' anomalia degli insegnanti stabilizzati che non vogliono stabilizzarsi lontano dal luogo in cui vivono. In vista dell' assunzione in pianta stabile, il ministero aveva fatto sapere che molte delle nuove cattedre sono nel Nord, dove maggiore è il numero di studenti e minore il numero di professori.

Ma ai docenti precari in attesa di diventare di ruolo la prospettiva di dover traslocare per raggiungere la scuola loro assegnata non piace. In molti hanno protestato via web e qualcuno ha addirittura annunciato di voler rinunciare all'assunzione, preferendo la disoccupazione alla - udite, udite - deportazione. Così l' hanno chiamata. Che si evochi la traduzione in catene per definire un trasferimento volontario ad alcune centinaia di chilometri in cambio di un posto fisso è cosa da non credere.

Che dovrebbero dire gli americani che con il 5 per cento di disoccupazione, non il 13 (che poi quella italiana sarebbe di più considerando anche la cassa integrazione che fa da ammortizzatore sociale), sono pronti a sradicare la casa (letteralmente) e trasferirsi in un altro Stato? E gli inglesi, i canadesi, gli australiani eccetera eccetera? Parlo di un' emigrazione normale, in Paesi normali. Non di quella povera, che arriva dal Sud America o dall' Est. Anche nel mondo anglossassone hanno parenti e amici che lasciano a casa. E però non si fanno problemi a levare le tende e a inseguire il lavoro lì dove c'è.

Da noi invece ricevere un posto fisso, 36 ore a settimana, senza il patema di una crisi aziendale o di un licenziamento, dunque escludendo la mobilità o la solidarietà che decurta gli stipendi, essendo certi della possibilità in capo a qualche anno di ottenere l' avvicinamento a casa, viene chiamata deportazione.

Già questo è un brutto segnale, perché significa che nonostante negli ultimi anni gli scenari economici siano cambiati, la parte più progredita della nostra forza lavoro (gli insegnanti hanno laurea e fior di studi) non ha ancora capito che nel 2000, con l' Europa e la globalizzazione, un' epoca si è chiusa e un' altra si è inaugurata. Non siamo più un universo a sé stante, dobbiamo confrontarci con tutto il mondo e adeguare le nostre abitudini, le nostre certezze e le nostre garanzie, a quelle degli altri Paesi occidentali e non solo.

Tuttavia, se il rifiuto a trasferirsi da parte dei docenti è un cattivo esempio per le giovani generazioni, pessimo è invece il comportamento del governo, che dopo aver minacciato sfracelli in un mondo - quello della scuola - tra i più refrattari all' innovazione, passo dopo passo ha accettato di rimangiarsi la riforma della buona scuola, preferendo tenersi appunto quella cattiva.

La valutazione dei professori è stata annacquata, limata anche l' annunciata autonomia delle scuole e dei presidi, riveduta e corretta la possibilità di assumere (e licenziare) i docenti e perfino quella di accettare finanziamenti esterni e di donare un millesimo del proprio reddito. Insomma, giorno dopo giorno la riforma ha perso i pezzi e ora, a pochi giorni dall' ingresso in aula, rinuncia anche alle regole che dovevano consentire un' infornata di nuovi insegnanti.

Di fronte alla resa, ritornano in mente i titoli di giornale con cui Renzi e i suoi ministri e sottosegretari annunciavano la fine delle cattedre vacanti, l' addio alle supplenze ad ogni inizio singhiozzante dell' anno scolastico. Come altre volte, degli annunci e delle promesse è rimasto poco.

Il governo così si rivela un cattivo maestro: mentre minaccia di togliere potere a Cgil, Cisl e Uil per liberare l' economia e i servizi pubblici dai loro ricatti, si piega ai diktat dei sindacati che al suonare della campanella promettevano di suonare come un tamburo l' esecutivo. Da questa storia si cava una sola lezione: la bocciatura del presidente del Consiglio, un decisionista capace solo di rottamare le sue decisioni.

Categoria Cultura

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