Come mai l'Italia che esporta ora preferisce la Merkel a Renzi?

Cosa è successo al tessuto produttivo italiano, soprattutto a quello del Nord, nel corso della più profonda recessione dagli anni 30 del secolo scorso?

 di Edoardo Narduzzi Italia Oggi 15.12.2015

Cosa è successo al tessuto produttivo italiano, soprattutto a quello del Nord, nel corso della più profonda recessione dagli anni 30 del secolo scorso? Quale trasformazione hanno subito le imprese, cioè le organizzazioni core di un'economia di mercato, nello stesso periodo? Per dirla più brevemente: chi è e come pensa e agisce chi produce il valore e la ricchezza che tutti in Italia vogliono tassare o redistribuire? Per capirlo bisogna entrare nella quotidianeità delle imprese che esportano, la frontiera della globalizzazione dove non ci sono «pasti gratis»; nella vita delle lottatrici alla pari nell'Eurozona a trazione tedesca dove il fatturato deve crescere anche quando l'euro è molto sopravvalutato.

La trasformazione è stata Grande, per dirla con Karl Polanyi. La sua narrazione non appartiene ai talk show che preferiscono raccontare le testimonianze dell'Italia impoverita e sconfitta dalla crisi; non entra nelle slides della Leopolda neppure dalla porta di servizio; è quasi sconosciuta nei dibattiti parlamentari o regionali; fatica a guadagnare spazio sui social media o nel dibattito confindustriale. È una storia di successo dimenticata o, peggio, non capìta.

Eppure, mentre l'euro toccava nuovi record nei valori del cambio, mentre lo spread volava a quota 500 e faceva terra bruciata per le imprese che dovevano finanziare l'export, mentre la tassazione raggiungeva livelli mai visti nella storia repubblicana, mentre tutto ciò e altro ancora accadeva, un manipolo numeroso di imprese del made in Italy combatteva la sua battaglia per la vita. Gettava le basi per il record che si registrerà nel 2015: 400 miliardi di esportazioni, un dato sempre in crescita dal 2010. Lo scorso anno ogni italiano ha esportato per 8.542 dollari e non nei mobili o nel fashion come si crede: macchinari, automobili, elettronica, farmaceutica e chimica sono i campioni del nostro export.

Avevano concesso un'apertura di credito al renzismo della rottamazione ma poi hanno rivirato in massa su Zaia alle elezioni in Veneto. Queste imprese, questi imprenditori e manager trasformati dalla crisi e dall'euro sono oggi più tedeschi dei tedeschi. Hanno capito l'importanza dell'euro nella globalizzazione e cosa significhi generare produttività per contrastare gli effetti di una moneta forte. Sono in sintonia con le politiche del duo Merkel-Schaeuble perfino più della Confindustria tedesca. Chiedono a Renzi riforme profonde di 360 gradi. Non vogliono più convivere con un Mise che impiega dieci volte di più a lavorare una pratica dell'analogo ministero olandese o spagnolo. Già votano Merkel e, senza riforme, «conferiranno» il loro export alle statistiche altrui. Sono state trasformate, indietro non tornano più.

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